Da Pomigliano d’Arco al Meeting di Rimini


 
Ai tempi del referendum di Pomigliano d’Arco c’era chi raccontava che il diktat della Fiat riguardava solo quel plesso industriale, un’eccezione dunque, mentre nel resto d’Italia tutto sarebbe rimasto come prima. Ci ha pensato Marchionne a chiarire senz’ombra di dubbio che per lui Pomigliano era il “nuovo” che avanzava dando il la alle nuove relazioni industriali che la grande industria da lui rappresentata intende perseguire. La platea è stata egregiamente offerta dall’ormai tradizionale Meeting di Comunione e Liberazione di fine agosto in quel di Rimini. Un’assemblea particolarmente ben disposta e sensibile alle sirene padronali.
Il discorso di Marchionne va letto con attenzione e analizzato per bene. Una lettura da raccomandare perché assolutamente istruttiva. Qui riporto la breve sintesi che ne fa Scalfari nell’editoriale di “La Repubblica” del 29 agosto scorso. Poi mi soffermerò per alcune considerazioni.

“1. L’economia globalizzata impone che l’aumento di produttività nei paesi opulenti sia molto più elevato di quanto negli ultimi trent’anni non sia avvenuto, per tenere il passo con quanto avviene nei paesi emergenti e non perdere altro terreno nei loro confronti.
2. La lotta di classe è finita perché non ci sono più classi.
3. La domanda di automobili in Occidente è molto diminuita ed è tuttora in calo, perciò bisogna concentrare la produzione in un numero limitato d’imprese, riducendo il numero delle unità prodotte e aumentando la competitività.
4. I lavoratori debbono accettare nuove regole sulla flessibilità negli orari, sul ricorso allo sciopero, sulla struttura del salario e dei contratti.
5. La giurisdizione del lavoro dovrà, di conseguenza, essere aggiornata.
6. Forme di partecipazione dei lavoratori ai profitti derivanti dall’aumento della produttività sono auspicabili e vanno incentivate.
7. Le parti sociali debbono premere sui governi per ottenere nuovi tipi di “welfare” appropriati alle nuove regole”.

Marchionne apre il suo discorso confessando candidamente che avrebbe voluto condividere “le questioni più spinose con le quali l’umanità si deve confrontare – come sia possibile rimanere indifferenti di fronte allo scandalo della distribuzione della ricchezza mondiale, – come sia possibile parlare di sviluppo e benessere se gran parte della nostra società non ha nulla da mettere in gioco al di fuori della propria vita”. Però è tale l’ingiustizia subita dalla Fiat a Melfi, per “la gravità delle accuse” che si stanno muovendo, che è costretto a portare il discorso a un livello molto più locale.
L’Amministratore Delegato rivendica la piena osservanza della legge da parte della Fiat nei confronti dei tre operai licenziati e reintegrati nell’organico dell’azienda, come imposto dalla sentenza di primo grado, ma impediti dalla direzione di riprendere le loro mansioni lavorative, in attesa del secondo grado di giudizio. Lasciando trapelare – in perfetto stile berlusconiano – che il primo giudizio “è stato condizionato dall’enfasi mediatica, che ha travisato la realtà dei fatti” auspicando che il secondo giudizio previsto dal nostro ordinamento non subisca influenze del genere. Cioè si attenga alla realtà dei fatti secondo il verbo raccontato dalla Fiat.
Sui tre operai , difesi in quei giorni sia dal Presidente Napolitano e dalla stessa CEI, è arrivato a dire che “la dignità e i diritti non possono essere patrimonio esclusivo di tre persone”. Credo che a nessuno dei tre sia mai passato per la testa di averne l’esclusiva. Non sono certo gli operai che si oppongono all’universalità dei diritti di chi lavora. Infatti , se non sono patrimonio di ogni singola persona che diritti sono? Ora invece, è proprio la Fiat che pretende di escludere dal lavoro chi non si allinea con i suoi diktat.
L’assioma su cui si fonda tutto il ragionamento di Marchionne è il seguente:

La verità è che questo sforzo (della Fiat) viene visto da alcuni con la lente deformata del conflitto. Non siamo più negli Anni Sessanta. Non è possibile gettare le basi del domani continuando a pensare che ci sia una lotta tra «capitale» e «lavoro», tra «padroni» e «operai». Se l’Italia non riesce ad abbandonare questo modello di pensiero, non risolveremo mai niente. Erigere barricate all’interno del nostro sistema alimenta solo una guerra in famiglia. L’unica vera sfida è quella che ci vede di fronte al resto del mondo. Quello di cui ora c’è bisogno è un grande sforzo collettivo, una specie di patto sociale per condividere gli impegni, le responsabilità e i sacrifici e per dare al Paese la possibilità di andare avanti”.

Quindi, il problema è di bandire qualunque forma di opposizione o dissenso a quello che la Fiat impone. E questo è presentato come l’unica via non solo per le relazioni industriali, ma per la salvezza dell’Italia di fronte al mondo.
In un articolo comparso su La Repubblica del 26 giugno scorso dal titolo “Profitto e l’operaio”, Gad Lerner mette a confronto il reddito di un operaio con quello di Marchionne e poi anche con quello di Berlusconi. Nel 2009 Marchionne ha percepito un compenso di 4 milioni e 782 mila euro, pari a 435 volte del reddito di un suo dipendente di Pomigliano. Berlusconi nello stesso anno ha percepito un reddito pari a 11.490 volte di un operaio di Pomigliano1. Che vuol dire Marchionne quando dice che “Erigere barricate all’interno del nostro sistema alimenta solo una guerra in famiglia.”? Sì, perché lui vede nel nostro paese una grande famiglia che deve fronteggiare le sfide del mondo globalizzato. Per questo è necessario un “patto sociale” che esiga sacrifici da tutti, anche dagli operai. Ecco allora la necessità di “saper scegliere la strada”, la sua ovviamente , l’unica che rispecchia l’”onestà intellettuale”, con la pratica dell’”etica di business”, quella che ha in sé “la chiave della rinascita”, “l’etica del cambiamento”, naturalmente quella che per tutti propone lui.
Occorre dunque schierarsi. “Farlo dalla parte ‘giusta’ è doveroso. Di là la parte peggiore delle società e della nazione, vale a dire i lavoratori e i sindacati che si ribellano ai diktat a senso unico in stile Pomigliano; di qua l’onda rinnovatrice, vitalissima e quasi nobile, di coloro i quali si lanciano nelle sfide, tutte economiche, del Terzo Millennio. In primis la Fiat, giustappunto. La mistificazione è tanto insinuante quanto odiosa. Che Marchionne & Co. perseguano i loro interessi è ovvio e quasi naturale, visto l’assetto liberista in cui siamo sprofondati. Non lo è, invece, che cerchino di accreditarsi come le Forze del Bene che incarnano il meglio della nazione e che ci guideranno vittoriosamente verso il futuro” (Federico Zamboni).
A proposito del “patto”. E’ appena giunta notizia che dal 1 gennaio 2012 la Federmeccanica intende recedere dal contratto nazionale di lavoro siglato nel 2008. E’ un modo elegante per dribblare i possibili ricorsi alla magistratura da parte del sindacato sciogliendo le aziende dai vincoli sottoscritti e riducendo i diritti di chi lavora. Ecco un segnale che annuncia la vera natura del “patto sociale”. Un atto di forza imposto dalla libertà dell’imprenditore. Infatti, dice Marchionne, “essere liberi significa avere la forza di non farsi condizionare”. Il che equivale a esercitare la forza per condizionare gli altri. Quindi, non c’è alcun vero patto: sono in corso le prove di cinesizzazione del lavoro in Italia.
Intanto l’INPS comunica che nei primi otto mesi del 2010 ha autorizzato alle aziende italiane l’utilizzo di 826,4 milioni di ore di cassa integrazione con un incremento del 60,5% rispetto allo stesso periodo del 2009; di questo passo, entro la fine dell’anno, supereranno abbondantemente il miliardo. Quasi il 25% del totale delle ore richieste dalle imprese – rileva ancora l’Inps – è rappresentato dalla cassa integrazione in deroga, strumento che nei primi otto mesi dell’anno scorso pesava per meno del 10% sul dato complessivo. Nei prossimi mesi i sussidi andranno in scadenza. O i lavoratori saranno riassorbiti nelle fabbriche o rimarranno sul lastrico. Intanto chi governa continua a raccontarci che il grosso della crisi è passato, rimuovendo dai loro discorsi le questioni sociali che sono sotto gli occhi di tutti.
Di seguito, assieme ad una citazione più completa di Marchionne, saranno riportati alcuni brani significativi di alcuni autori: Giorgio Bocca, Eugenio Scalfari, Benedetto XVI e la testimonianza di un metalmeccanico del settore auto che riprendono i temi toccati.
Vorrei aggiungere una sottolineatura. Marchionne avvolge di un manto etico tutto l’operato della Fiat. Parla di “onestà intellettuale” di “etica del business”, “etica del cambiamento”, “nuovi orizzonti”, “iniziare a costruire insieme il Paese che vogliamo lasciare in eredità alle prossime generazioni”. Insomma l’etica annessa al proprio modello, mentre chi non è d’accordo ne è privo, perché accecato dalla “lente deformata dal conflitto” e produttore “guerre in famiglia”. La quintessenza dell’etica di Machionne si può riassumere in questo slogan tratto dalla sua relazione: “Le persone che guidano la Fiat sanno adattarsi, reagiscono in tempi brevissimi e tengono un ritmo molto più veloce rispetto alla concorrenza”. Da qui si capiscono le conseguenze pratiche per tutti i dipendenti. Una sorta di 24 ore di Le Mans continuata a tempo indefinito. E’ proprio curioso che Amartya Sen, in un suo intervento a Roma nel maggio scorso sul tema dello “sviluppo solido e duraturo” abbia scelto come leitmotiv le parole di una canzone cantata da Simon e Garfunkel che risuonano come un parallelismo antitetico al Marchionne-pensiero: “Slow down, you move too fast.You got to make the morning last” “Rallenta, ti stai muovendo troppo velocemente. Devi fare in modo che il tuo mattino duri più” 2.
Concludo con una considerazione sollecitata dalla dotta relazione presentata al Meeting dal card Scola titolata “Desiderare Dio. Chiesa e modernità ”. Una larga parte dell’intervento è dedicata alla polarità persona-comunità. Mi ha colpito l’assenza di qualunque riferimento al discorso intorno alla giustizia e al farsi prossimo: imperativo che attraversa tutto il discorso biblico dall’antico al nuovo testamento. In una situazione d’ingiustizia e di corruzione scandalosa, quale quella italiana, con pulsioni e politiche di razzismo in atto, con l’accentuarsi delle disuguaglianze economiche: niente da dire, parlando di persona e comunità? Un silenzio che pesa come un macigno. Nessuna osservazione sull’etica di Marchionne? L’unico accenno alla morale si trova così combinato: “diventa allora necessario liberare la categoria della testimonianza dalla pesante ipoteca moralista che la opprime riducendola, per lo più, alla coerenza di un soggetto ultimamente autoreferenziale”. Ho avuto modo di costatare che negli ambienti di CL a fronte di critiche sull’affarismo, il velinismo, la prevaricazione degli interessi privati sul bene pubblico e dal panorama squallido che ci viene propinato da chi ci governa, la reazione comune, quasi provenisse da un passaparola, era quella di liquidare come “moralistica” una tale critica. Le parole e i silenzi del cardinale suonano come un imprimatur di un tale modo di pensare?
Scalfari, forse uno dei soggetti autoreferenziali a cui si riferisce il cardinale, a proposito del Meeting dove hanno preso la parola anche Tremonti ed Emma Marcegaglia, valuta severamente i silenzi che sono echeggiati a Rimini: “L’economia politica ha come tema centrale proprio quello dell’etica, cioè i diritti e i doveri, della felicità ed infelicità, della giustizia e del privilegio. Una Comunità cattolica dovrebbe mettere al centro delle sue riflessioni questo tema e porlo agli ospiti, Se non lo fa, diventa una lobby come in effetti CL è da tempo diventata” (La Repubblica 29 agosto 2010).
Come ultimo documento di riflessione, che riprende proprio il tema dell’etica nella concretezza esistenziale, riporto una lettera di 26 anni fa, sottoscritta da tutti i lavoratori destinati al licenziamento e inviata al prof. Brugger, docente alla Bocconi, Commissario e poi Liquidatore della Redaelli SIDAS di Milano. Don Cesare Sommariva pubblicava un libro che documenta le lotte sostenute in quella fabbrica siderurgica dai lavoratori, e da lui stesso come operaio, per salvarla dalla chiusura. “ Le due morali” è il titolo del libro. Due morali in contraddizione.

Roberto Fiorini

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1 Questo a conferma di una saggia osservazione del premio Nobel 1998 per l’economia Amartya Sen: “La classe dirigente non muore mai di fame”.
2 A. Sen, Sviluppo sostenibile e responsabilità, in Il Mulino 4/2010 Bologna. Il testo riprende la lezione pronunciata dall’autore nellì’ambito del convegno organizzato da Unipool Gruppo Finanziario sullo sviluppo sostenibile: “Il contributo del lavoro, dell’impresa, del credito e dell’assicurazione alla ripresa e a uno sviluppo solido e duraturo”.

 

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