Sguardi e voci dalla stiva: lavoro
Convegno a Viareggio dei familiari delle vittime
“Sicurezza, verità, giustizia per Viareggio”, queste parole scritte a mano con vernice rossa su un lenzuolo bianco, sono visibili a chiunque transita nei pressi della stazione ferroviaria di Viareggio, dove verso la mezzanotte del 29 giugno 2009 un treno composto da carri-cisterna carichi di GPL è deragliato finendo per accartocciarsi appena superata la stazione. La cisterna di uno di questi carri tranciata da un picchetto ha lasciato uscire un’immensa nuvola di gas sospinta dalla brezza marina verso abitazioni contigue alla strada ferrata. Penetrata all’interno e incendiatasi è esplosa come una bomba a grappolo facendo 32 vittime, alcune delle quali decedute dopo settimane per le ustioni estese per oltre il 90% sul loro corpo martoriato.
Tra loro uomini, donne, bambini e vecchi. Viareggini e non. Marocchini e latino americani. Uno spaccato della realtà di molte periferie delle nostre città sempre più multietniche nella “normalità” di una casa in affitto, troppo indifesa di fronte a passaggi quotidiani davanti alle finestre di treni-bomba lanciati nella notte.
Due delle parole dello striscione citato all’inizio, “Giustizia e Sicurezza”, hanno costituito il titolo di un convegno che si è svolto sempre a Viareggio il 23 e 24 ottobre 2010. Due giorni intensissimi di testimonianze sofferte, denunce circostanziate, progetti di lotta perché questi inferni “non accadano più”. Convegno sottotitolato dall’impegno di “analizzare le cause, approfondire le proposte, sviluppare iniziative”. Non solo, ma anche “socializzare le esperienze, valorizzare le testimonianze, costruire collegamenti”.
Tutto questo all’insegna del rifiuto di ogni cedimento al farsi strada del concetto di fatalità sui disastri e sulle stragi, respingendo con forza la mistificazione “dell’errore umano”.
“La verità è che i disastri e gli incidenti avvengono perché fare sicurezza costa e per le imprese e i loro manager – nella logica di un sistema che persegue l’obiettivo assoluto di aumentare i profitti e diminuire i costi – i morti, gli infortuni, l’aggressione alla salute e all’ambiente vengono dati per scontati… Costano meno le vittime dei sistemi di sicurezza che possono garantire condizioni di lavoro sicure” (intervento di apertura del Convegno da parte del Capotreno Maria Nanni). Logica fatta propria dallo stesso ministro delle infrastrutture Matteoli che ha dichiarato durante la Conferenza internazionale sulla sicurezza ferroviaria l’8 settembre a Bruxelles, al riguardo dei tagli nel sistema del trasporto ferroviario in Italia: “… indietro non si torna”.
Logica inchiodata dal Procuratore generale di Firenze Deidda nell’incontro con i familiari delle vittime in occasione del primo anniversario della strage: “L’unica cosa che più o meno funziona in questo paese è una legislazione sui posti di lavoro… Ma in Italia le leggi si scrivono e non si rispettano, mancano politiche generali e investimenti per la sicurezza… 900.000 incidenti l’anno, di cui 300.000 gravissimi, escludono qualsiasi fatalità”.
La proposta di un Comitato dei comitati
E’ dai racconti dei superstiti, dalle testimonianze dei soccorritori, dei giornalisti che seguono le vicende della sicurezza, degli avvocati coinvolti nei lunghi, contorti processi, che la parola “fatalità” mostra tutta la sua valenza strumentale per addossare al “fato” responsabilità che hanno precisi nomi e cognomi. Ma, nello stesso tempo, questi racconti, così impegnativi anche per chi li ascolta, allargano il peso della responsabilità a stili di vita, comportamenti generalizzati che chiedono a ciascuno di noi di non chiamarsi sempre fuori quando si tratta della vita degli altri messa a rischio dall’imperativo del consumo e del “tutto e subito”.
La presenza e la parola di familiari delle tragedie avvenute in questi ultimi dieci anni in Italia, ha dato spessore e coralità al “grido” di chi non può e non vuole dimenticare, ma soprattutto si batte perché “non accadano mai più!”. Viareggio (2009 – disastro ferroviario, 32 vittime), Milano Linate (2001 – collisione tra due aerei, 118 vittime), L’Aquila (2009 – terremoto e crollo della Casa dello Studente, 8 vittime), Torino (2008 – rogo alla Thyssenkrupp, 7 vittime), S. Giuliano di Puglia (2002 – terremoto e crollo della scuola elementare, 28 vittime), Livorno (1991 – collisione e rogo del traghetto Moby Prince, 140 vittime) insieme a tante parti d’Italia vogliono creare una rete tra le tante, troppe, stragi di questo paese. “Un Comitato dei comitati per discutere insieme sulle resistenze che troviamo sul nostro cammino di verità e giustizia che ogni realtà, con le proprie peculiarità, vuole e deve perseguire fino in fondo. Un collegamento dinamico che intraprenda un cammino di dignità umana che mostri ai nostri figli, ai nostri giovani, al nostro futuro che gli uomini possono essere migliori di quello che ci vogliono far credere ogni giorno” (Maria Nanni, intervento di apertura del convegno).
I comitati sorti nei luoghi delle tragedie hanno inizialmente avuto lo scopo di riunire le famiglie delle vittime e di accertare la verità e le responsabilità penali. Ma sono anche “luoghi” di aiuto vicendevole, incontro tra persone che condividono un pianto difficile da trasformare in lacrime, scambio di informazioni, vedersi e stare insieme.
Così, nell’orbita di incontri come quest’ultimo convegno a Viareggio, gravitano superstiti e familiari di tragedie al singolare e non per questo meno tremende.
A titolo esemplificativo ecco la testimonianza di Anna Vitale De Lorenzo:
“Mi chiamo Anna ed ero sposata con Giovanni Di Lorenzo, un ragazzo dolcissimo e sempre pronto ad aiutare tutti. Era il 26 luglio 2007, mio marito uscì di casa prima delle 7, mi diede due baci quella mattina, uno in più per farmi gli auguri per il mio onomastico. Ci saremmo dovuti vedere per l’ora di pranzo. Mi chiamò verso le 10 dicendomi che non sarebbe tornato a pranzo perché mangiava un panino con i colleghi di lavoro. Mi spiegò, più o meno, il posto dove stavano lavorando ma non mi disse che stava alla guida di una ruspa. Mio marito era autista di camion.
Verso mezzogiorno mi chiamò mio padre dicendomi che aveva ricevuto una telefonata il cui contenuto era vago, parlavano di un incidente; io la prima cosa è stata quella di telefonare a mio marito ma niente, era spento. Salii subito in auto pensando al peggio; dopo un quarto d’ora arrivai sul posto. Era una strada di montagna, vidi la ruspa capovolta e tanti carabinieri, nessuno mi fece passare, volevo vedere Giovanni ma dissero che non potevo e non dovevo. In quel momento pensai a Carmen, la nostra bambina di due anni, pensai ai nostri progetti, ai suoi sogni e vidi solo il nulla intorno a noi.
Sono passati tre anni, fino a poco tempo fa non ne volevo parlare con nessuno, il dolore era ed è ancora tanto. Ora ne voglio parlare affinché storie del genere non accadano più, voglio che un padre di famiglia dopo una giornata di lavoro torni a casa dalla sua famiglia.
Dopo tre anni ci sono 4 indagati per omicidio colposo, e non capisco perché bisogna aspettare tanto per avere un po’ di giustizia, e perché mi devo sentir dire dall’avvocato di non aspettarmi che paghino con la galera…
Sono molto scoraggiata anche perché le udienze vengono sempre rinviate, e quella ditta continua a lavorare ed è brutto incontrarla per la strada, mi fa molto male…”.
Questa testimonianza è stata resa da Anna al convegno di Viareggio. L’udienza che la riguardava (l’incidente è avvenuto in provincia di Avellino) doveva tenersi il 26 novembre scorso, ma ancora una volta è stata rinviata…
Il difficile percorso della giustizia
Il rinvio delle udienze, l’arrendersi della giustizia di fronte a responsabilità di indirizzo che coinvolgono le lobby dei manager, amministratori di grandi enti, le poche significative condanne rimangiate nei successivi gradi di giudizio… sono pane quotidiano per coloro che rivendicano il diritto di sapere come sono morti i loro cari e soprattutto perché.
Andando nei siti internet delle associazioni dei familiari delle vittime, vengono fuori storie incredibili di ordinaria ingiustizia, ma emerge anche un percorso di solidarietà e di lotta che vede protagonisti coloro che in prima persona sono stati tragicamente toccati e che permette di sperare in una amministrazione della giustizia in futuro più attenta e responsabile del proprio ruolo.
“Il 10 aprile di diciotto anni fa, 140 persone muoiono al largo del porto di Livorno dopo l’incendio del traghetto “Moby Prince”. Una strage dai contorni ancora indefiniti. Anche se il numero dei morti è di una rilevanza angosciante, il caso del Moby Prince soffre ancora di una sua “secondarietà”, quasi lo status di strage non sia stato ancora ufficializzato, accettato. Esiste un lungo elenco di misteri italiani che non hanno goduto, ancora oggi, di alcuna soluzione. Il caso del Moby Prince è uno di questi.
Attualmente i processi si sono tutti conclusi, ma di colpe ne sono emerse ben poche, come ben poca è la verità su quanto sia avvenuto nella notte del 10 aprile 1991. Nell’immaginario collettivo quello del Moby Prince molto spesso è qualificato come un incidente, una nave che si scontra con un’altra nave ferma, magari perché l’equipaggio è stato distratto dalla visione di una partita di calcio, come si è tentato di far credere. Un incidente, non una strage.
Sono passati 19 anni, ma siamo e saremo ancora qui per le strade e nelle sedi istituzionali della città di Livorno per chiedere che chi ha sbagliato paghi, per riaffermare il diritto a verità e giustizia, per gridare il nostro dolore”.
(Loris Rispoli, presidente associazione “140” familiari vittime del Moby Prince)
(cfr. sito dell’Associazione: http://www.mobyprince.com/tutte-le-news
e gruppo su Facebook: “Quelli che vogliono la Verità sulla Moby Prince”)
“Che dire della giustizia? Speravamo tanto che almeno per un volta davanti ad una tragedia così grande (areoporto di Linate, 2001, 118 vittime) e con responsabili riconosciuti, la giustizia facesse centro. Invece la Cassazione, che è al di sopra di tutto, ha confermato pari pari la tanto criticata ed ignobile sentenza dell’appello…
Eravamo in tanti familiari a Roma. Ancora una volta uniti mano nella mano a superare l’ultimo ostico e dolorosissimo gradino. Li abbiamo visti in faccia: gli avvocati sorridenti, gli imputati che sonnecchiavano durante la lettura della relazione, trapelava la loro tranquillità, forse, chissà in che modo, si sapevano in una botte di ferro…
Tantissimi sono stati i messaggi di vicinanza e di sostegno giunti da ogni parte d’Italia e lo sdegno per la fantasiosa assoluzione è stata grande, soprattutto da parte di uomini di legge.
A noi rimane da vivere con il ricordo dei nostri cari e la voglia di continuare a batterci affinché nessuno più debba ritrovarsi in giorni come i nostri.
Vorrei ribadire che sia a Milano che a Roma i giudicati ed i loro avvocati si sono dimenticati che eravamo persone con grande sofferenza. Intendo dire che fosse solo per la buona educazione che ci accomuna, avremmo molto apprezzato che incrociando gli sguardi, ci fosse stato un accenno di saluto. Nessuno in questo maledetto processo ha rincorso l’altro con un‘arma.
Gli illustri avvocati, specie quando indossano la toga, non dimentichino mai un pochino di umiltà nei confronti del loro prossimo!
Per continuare a vivere è indispensabile coltivare un po’ di illusione e di sogni, a volte anche nella menzogna”.
(Da Messaggi del Presidente della Fondazione 8 ottobre – vittime di Linate) (http://www.comitato8ottobre.com/messaggi_del_presidente.asp?language=it&id=146)
“Oggi la giustizia ha rotto il silenzio su San Giuliano, condannando cinque dei sei imputati per il crollo della scuola Iovine. Era stata assente, la giustizia nel processo di primo grado assolvendo tutti gli imputati. Ma oggi, altri giudici hanno stabilito che i 27 bambini e la maestra di San Giuliano, sono vittime dell’incuria umana, prima che di un atroce destino. Della leggerezza che spesso, nel nostro paese, provoca dei morti. Una leggerezza unita all’avidità di pochi e alla cultura della moltiplicazione del profitto. Dove sono le coscienze degli uomini quando pur di risparmiare mettono a repentaglio tante vite? Quale ricordo deve restarci dentro, dopo la terribile storia di San Giuliano? La forza di quei genitori di andare avanti, per rendere giustizia ai loro bambini e la loro disperazione per una tragedia che forse si poteva evitare. Ma chi compie queste battaglie civili, dimostra una grande generosità, dimostra di tenere agli altri, dimostra di volere che a nessuno accada più quanto è accaduto ai loro bambini”.(Roberta Lerici, blog – Crollo scuola Jovine: in appello la giustizia condanna gli uomini, non il destino – 25 febbraio 2009 – http://www.bambinicoraggiosi.com/?q=node/918)
“16 dicembre 2010 – Nella tarda mattinata è arrivata la notizia: i nomi ed il numero degli indagati. Un primo risultato è stato ottenuto: che tra gli indagati vi sia l’AD del Gruppo ferrovie e gli Ad delle società (ferroviarie e non) coinvolte nella strage.
Questo risultato mostra che la Procura, ad oggi, non ha fatto sconti a nessuno e che la mobilitazione dei familiari delle vittime, dei lavoratori, dei giovani, dei cittadini ha “contato” per questo risultato. La partecipazione, la solidarietà, la lotta sono ingredienti utili e necessari per strappare buoni risultati. Diversamente prevale l’indifferenza, lo scoraggiamento, l’isolamento, l’immobilismo … utili e necessari a chi vorrebbe insabbiare tutto quello che deve (e dovrà) venire fuori. Questa è la realtà!
Ma noi non siamo mai contenti.
Primo perché siamo di fronte ad una strage: 32 vittime, feriti gravissimi, superstiti, sopravvissuti, una zona distrutta, una città ferita…
Secondo perché siamo appena agli inizi di un iter processuale che sarà lungo, complesso e difficile. Noi ci batteremo, come abbiamo fatto fino ad ora, fino in fondo affinché siano accertate le responsabilità e sia garantita la verità.
Molto dipenderà dalla partecipazione e dalla mobilitazione.
“E’ leggero il compito, quando molti si dividono la fatica”.
Segue la lista dei 38 indagati nell’inchiesta della Procura di Lucca sul disastro ferroviario di Viareggio”.
(Comunicato stampa dell’Assemblea 29 giugno – Viareggio, disastro ferroviario)
“Ergastolo! L’ergastolo gli dovrebbero dare!”. Così urlava oggi al Palagiustizia di Torino, dopo l’ultima requisitoria del PM Raffaele Guariniello, una commossa Grazia Rodinò, mamma di Rosario (“Saro”), operaio di 26 anni ucciso nel rogo dell’Acciaieria ThyssenKrupp di Torino del 6 dicembre 2007, insieme ad altri sei lavoratori.
Guariniello naturalmente non ha chiesto l’ergastolo (non previsto per le ipotesi di reato prospettate), ma pretende pene pesanti per gli imputati: 16 anni e 6 mesi per l’amministratore delegato della ThyssenKrupp accusato di omicidio volontario con dolo eventuale; 13 anni e 6 mesi per altri tre imputati per omicidio colposo aggravato.
Quello che colpisce della requisitoria finale di Guariniello è lo stupore che ha manifestato il PM nel constatare la capacità a delinquere degli imputati, vertici di una multinazionale (“Non di un mulino!”, ha precisato Guariniello). Ha quindi sottolineato “l’enorme gravità del reato” e dei fatti che ha cagionato e il tentativo (“mai visto”) di corrompere i testimoni per influenzare l’andamento di un processo così delicato. Infine, Guariniello ha rimarcato la sofferenza del portare avanti un simile procedimento. C’è stato infatti un grande coinvolgimento emotivo, non solo da parte dei familiari, ma di tanti lavoratori, cittadini, istituzioni, in ogni parte d’Italia. E naturalmente, anche da parte di chi ha dovuto sostenere l’accusa e difendere le parti civili.
Ora la decisione finale spetta ai giudici: la sentenza potrebbe arrivare già a fine gennaio, o a febbraio.
Sicurezza e Lavoro ringrazia anche a nome dei familiari (soddisfatti per un’aula finalmente gremita) quanti hanno risposto al nostro appello per partecipare all’udienza di oggi.
Un particolare ringraziamento a coloro che sono venuti da fuori Torino: gli amici dell’Associazione Famigliari Vittime Amianto di Casale Monferrato e i familiari delle vittime della strage ferroviaria di Viareggio.
Torino, 14 dicembre 2010
(Massimiliano Quirico, direttore “Sicurezza e Lavoro” – Comunicato stampa)
Il ruolo del Parlamento: la legge “Linate” e la legge “Viareggio”
Quando accadono disastri che sconvolgono la vita quotidiana delle persone, si presentano – praticamente nell’immediato – problemi e bisogni che non coinvolgono le strutture di protezione civile e d’emergenza. Eppure risposte, anche parziali, sono necessarie per tirare avanti, almeno giorno per giorno. Quando avvengono crolli o incendi che rendono del tutto inagibili le abitazioni, per i sopravvissuti anche trovare soldi per una ricarica telefonica rappresenta un problema. Avviare procedimenti burocratici per un sussidio una tantum per esempio sembra facile, ma cozza contro le procedure che impongono all’impiegato chiedere un documento di riconoscimento a chi è rimasto praticamente con il solo pigiama indosso… C’è un vuoto legislativo di fronte alle grandi emergenze anche da questo lato, nonostante l’esperienza di grandi e devastanti terremoti e ripetute alluvioni nel nostro paese.
Sono esperienze che, per chi le ha vissute in prima persona, fanno ricordare la brutta sensazione di essere persone mal sopportate, solo come testimoni “commossi”, con cui chiudere al più presto la partita…
“ Ma per quanto ci riguarda questa volta hanno sbagliato i conti.
Perché è disumano dover sopravvivere quando non sai più chi sei e dove sei, perché all’improvviso e senza sapere perché non c’è più tua figlia, il tuo compagno, tua madre, tuo fratello e non sapere come andare a fare la spesa, pagare il mutuo, comprare i libri per i figli che studiano, allevare dei figli ancora piccoli… vi assicuro che è devastante e disumano e non degno di un paese che si dichiara civile! Perché dopo la tragedia, l’assetto economico di tante famiglie salta e questo è un aggravante non da poco che si aggiunge all’immenso dolore ce viviamo ogni giorno.
Nel nostro ordinamento non è prevista la costituzione di parte civile al processo che si farà da parte di un familiare che sia già stato risarcito. La persona offesa può stare nel processo penale per ottenere il risarcimento, ma se questo lo ha già ottenuto, cosa va a “cercare” nel processo penale? Vedete come le Assicurazioni di Ferrovie dello Stato si stanno sbrigando a volerci liquidare, pur avendo ripetutamente detto e scritto di essere del tutto estranei alla tragedia accaduta?!
Noi non ci stiamo, è l’ora di finirla con questo ricatto.
La legge, che abbiamo chiamato ‘legge Viareggio’ che siamo riusciti a strappare appunto con una grande mobilitazione e la partecipazione bipartisan dei parlamentari della nostra zona, con il precedente della ‘legge Linate’, dovrà diventare una legge nazionale a disposizione di tutte quelle situazioni di eventi negativi in cui gli enti preposti non siano riusciti o non abbiano investito in sicurezza o non abbiano voluto intervenire preventivamente. Per noi è assolutamente necessario che quando, speriamo mai più, dovessero accadere tragedie di questo tipo, lo Stato, il giorno dopo dovrà provvedere alla tutela economica dei suoi cittadini colpiti”.
(Daniela Rombi, presidente dell’associazione “Il mondo che vorrei” – familiari vittime del disastro ferroviario di Viareggio – intervento al Convegno “Giustizia e sicurezza”, Viareggio 24 ottobre 2010)
Oltre il dolore, perché “non accada mai più”.
Visitando i siti internet delle diverse associazioni di familiari delle vittime dei disastri in territorio nazionale, si rimane sorpresi dall’energia spesa per dei percorsi di approfondimento delle cause di questi disastri, proposte concrete per la modifica di regole, procedure, indirizzi ecc. Il tutto nell’interesse della collettività, perché non accada mai più ciò che ha cambiato per sempre la loro vita. E quando li vedi insieme, nei convegni come quello di Viareggio, nelle manifestazioni come per le vie de L’Aquila, nelle aule di tribunale come recentemente a Torino, vedi persone molto diverse tra loro che si riconoscono, si abbracciano, si incoraggiano e si aiutano a vicenda nella direzione di quel “Mondo che vorrei” che non a caso è stato scelto come denominazione dai familiari delle vittime della strage di Viareggio per la loro associazione.
Si avverte chiaramente lo sforzo mai pago nel cercare di cucire un dolore insanabile con il proposito fermo che la morte dei propri cari serva a rompere il muro di indifferenza di tutto ciò che con grande ipocrisia viene attribuito al “destino”.
Un ascolto attento, responsabile e vero delle vicende umane anche le più terribili, che nello spirito laico si fa memoria viva e in quello religioso, preghiera.
“Nel nostro lungo cammino – dice Adele Scarani nell’intervento al Convegno di Viareggio per conto del “Comitato 8 ottobre 2001”, disastro di Linate – abbiamo sempre cercato di comportarci con grande dignità, nonostante i primi tempi il dolore ci avesse portato a voler urlare la nostra collera, la nostra rabbia. Ci siamo resi conto a un certo punto che tutto questo non serviva proprio a niente. Perciò abbiamo deciso di abbassare il profilo, rinunciare all’idea di fare cose eclatanti nonostante la morte nel cuore.
Questa linea di condotta ci ha permesso di rimanere concentrati su ciò che è stato ritenuto giusto fare per ottenere molte delle cose che ci eravamo preposte. Abbiamo cercato ed avuto sempre forte l’appoggio dei media che svolgono una parte importante in questo tipo di ricerche di verità e di aiuti mettendo al corrente l’opinione pubblica di ciò che noi chiediamo e vogliamo.
Noi ora ci occupiamo esclusivamente di organizzare convegni sulla sicurezza del trasporto aereo cercando di favorire la comunicazione tra i vari enti preposti alla sicurezza del volo, promuoviamo tavoli di studio, incontri, borse di studio… tutto quanto serve a monitorare la sicurezza del trasporto aereo.
Sono passati tanti anni da quel triste giorno di ottobre del 2001, ma continuiamo a lavorare. La strada è sempre in salita, ma non ci spaventano i sempre nuovi obiettivi.
Il dolore ce lo teniamo noi.
Ad un certo punto bisogna cambiare atteggiamento andando avanti e combattendo in modo determinato verso l’obiettivo della sicurezza nei trasporti, insieme a tutti coloro che per l’esperienza, le capacità e le conoscenze ci possono supportare. In questa direzione auguro a tutti buon lavoro!”.
Luigi Sonnenfeld