Sguardi e voci dalla stiva: migranti


 

 

Brescia chiama e Milano risponde. Nel giro di due settimane di un piovoso novembre ci scoppia addosso una ricapitolazione ed un preludio.
A Brescia sei immigrati, poi ridotti a quattro ( e mentre scrivo mi giungono notizie di una conclusione della vicenda), si sono arrampicati su una gru edile, preposta alla costruzione della metropolitana cittadina. E lì si sono installati giorno e notte. Cosa vogliono? Il permesso di soggiorno per loro e per tutti quelli che hanno versato un sacco di soldi per la sanatoria del 2009,vedendosi poi truffare da padroni, avvocati ed istituzioni. Vogliono poi che chi perde il posto di lavoro non venga ricacciato nella clandestinità, nei Centri di Identificazione e di Espulsione.
Vogliono in poche parole ESISTERE come uomini e come lavoratori.

Nel giro di qualche giorno, anche a Milano, un gruppo di migranti sale sulla torre della ex Carlo Erba, in appoggio a Brescia e con le stesse motivazioni.
In entrambi i casi si formano dei presidii solidali, sostenuti da altri loro fratelli e da italiani.
Con una differenza. Mentre a Brescia l’azione dei migranti tocca il portafoglio delle imprese e del Comune, impedendo nei fatti il proseguo dei lavori della metropolitana, a Milano la protesta non punge nel vivo alcun interesse particolare. Questo spiega la “cattiveria” del prefetto e del questore di Brescia e le cariche della polizia, ma pure le difficoltà dei sostenitori del presidio ad estendere la loro azione ed a dialogare con la popolazione.
A Milano invece, l’apparente “tranquilla” gestione del presidio, con la polizia a distanza e con un largo transito di “visitatori”, permette d’altro canto di impiantare una piccola tendopoli, con un punto ristoro e con gente che, nei sacchi a pelo, vi passa la notte.

Appena al corrente dei fatti, noi della “Rete Operaia” cerchiamo di pubblicizzarli e di svolgere una riunione coi migranti che riusciamo a coinvolgere in Bergamo e provincia.
Andiamo anche a volantinare alla moschea della Malpensata. Fermiamo tutti quelli che possiamo e li invitiamo alla riunione. Arrivano a gruppi, abbastanza distinti per etnie o nazionalità, molti col loro copricapo, tutti abbastanza disponibili ad ascoltare. Noto che molti di loro sono già perfettamente al corrente dei fatti; per cui invece di stare a spiegare, cerco di esporre l’importanza di stare compatti e di non lasciar correre…
Abbiamo sbagliato i conti…ci volevano molti più volantini. Comunque qualcuno riusciamo a portarlo alla riunione, dove altri immigrati che si occupano di queste vicende spiegano a tutti i contenuti delle leggi razziste e pure le tecniche usate per fregar loro un sacco si soldi. Fissiamo una serie di propositi d’azione sul territorio e ci diamo appuntamento per sabato 13 novembre. A Brescia, c’è il corteo antifascista e antirazzista a sostegno dei lavoratori migranti.

Arriviamo in auto attorno alle 14. Più ci avviciniamo al luogo della gru ( nei pressi della chiesa di S.Faustino ) più si respira un clima di tensione. Polizia, carabinieri, finanzieri sono con le loro autoblindate dietro ogni angolo. Ti guardano duro quando gli passi davanti. Scattano tutti all’unisono al primo intoppo: basta contestare qualche via bloccata, qualche divieto…un anziano passante viene “investito” da 5-6 agenti solo per aver obiettato che lui deve proprio passare di lì, che le sue gambe non gli permettono di fare un giro così largo…
Ci portiamo in Piazza della Loggia e di lì poco dopo muoviamo in corteo, non senza prima aver reso omaggio alla memoria di quattro partigiani fucilati per rappresaglia dai fascisti in un piazzale lì vicino. I nazisti di “Forza Nuova”, vista l’aria, hanno dovuto rinunciare ad una loro preannunciata “sfilata” paramilitare.
Moltissimi giovani, che serrano le prime file del corteo. Presenza dei partiti e sindacati istituzionali=0. Il clima è un po’ da stadio, per i cori, gli atteggiamenti ecc. ma è molto sentita la voglia di andare a trovare i quattro sotto la gru, ed urlare a loro ed a tutti la nostra vicinanza, partecipazione, condivisione. “Siamo tutti sulla gru!”si scandisce. La polizia serra a sua volta e arretra lentamente. Siamo più di un migliaio. Il viale che conduce da Piazza della Loggia alla gru è fatto ad imbuto, per cui mano mano che avanziamo ne occupiamo tutta la larghezza. Solo cinque giorni prima, proprio qui, la polizia ha caricato proditoriamente un gruppo di manifestanti solidali, ferendone e fermandone alcuni ( e rispedendo i migranti al loro paese ).
Ora la gru si avvista assai distintamente. Le braccia e le urla degli occupanti…le braccia, le urla, i pugni chiusi dei manifestanti. In mezzo, la polizia; che ora triplica i suoi effettivi, mette transenne di traverso, fotografa a tutto spiano i manifestanti dalle torrette delle autoblindate.

Inizia un presidio “allargato” che durerà ore. Ciò che alza la tensione sono le”trattative” col questore per far arrivare agli occupanti cibi e bevande. Chi sta sopra la gru giustamente non si fida. Troppe pressioni di ogni tipo per farli scendere, ragionare,” fare i bravi che è meglio” e cose del genere. Accettano cibi e bevande solo da chi dicono loro.
Spingi e urla, urla e spingi…ad un certo punto parte la carica della polizia. Sto parlando, a circa metà presidio, con alcuni compagni di Bergamo sul da farsi, quando mi vedo arrivare addosso decine di persone che corrono. Facciamo per portarci verso il fondo, ed ecco pure dall’altro lato avanzare le file di poliziotti che cominciano a pestare. Partono i primi lacrimogeni. L’aria è irrespirabile. Ci buttiamo d’istinto verso una viuzza laterale. Gente che fugge, porte dei bar che tirano dentro al volo chiunque non se la sente di arrischiare…Provo ad uscire da quei budelli di viuzze, a rischio di trovarmi qualche strada sbarrata ai due lati. Mentre corro per guadagnare la libertà e l’incolumità, in qualche secondo, in rapida successione, mi ritrovo quindicenne, a Milano, nei primi scontri studenteschi…lo stesso cuore in gola…l’azione che accelera la riflessione.
Ma dove sono?
Ci ricongiungiamo e torniamo indietro, mentre incrociamo ambulanze e auto della polizia a sirene spiegate. Dalla radio notizie di feriti e fermi, e di altri focolai di scontri che si accendono qua e là.

Domani tocca a Milano.Qui sulla torre della Carlo Erba, in via Imbonati, un altro gruppo di migranti, sempre per sollevare gli stessi problemi e per sostenere fattivamente Brescia, vi si è insediato in pianta stabile. Sotto la torre, il “Comitato Immigrati” di Milano ha gestito direttamente la lotta ed il presidio. Tenetelo in mente questo particolare: non sono italiani che fanno PER i migranti, ma sono questi ultimi che PRENDONO L’INIZIATIVA, per loro e per tutti quei lavoratori impauriti o che vanno ancora dietro alle sirene del tirare a campare.

Arrivo in mattinata sotto una pioggia battente. La torre stacca, altissima e affusolata. Poco sotto la vetta sporge una terrazza, con dietro i migranti ed uno striscione con su scritto: “Sanatoria”. Mi sbraccio per salutarli. Mi rispondono. Nella tendopoli, che stano ampliando per preparare l’assemblea nazionale delle Associazioni di Migranti, incontro Jorge e Najat, del “Comitato Immigrati” di Milano. Mi abbracciano, come se mi stessero aspettando.
Jorge, magro, calmo, deciso, parla con me di Brescia e del senso che vogliono dare alla lotta. Vogliono tenere duro, mi dice, e sono attrezzati per farlo. Il pallino lo vogliono tenere loro. Braccia aperte a chiunque entra nella lotta, ma nessun “cappello politico” e nessuna strumentalizzazione dei migranti “per farsi belli”. Giusto, fratello. Giorni addietro, prosegue Jorge, Cgil-Cisl-Uil sono andate per conto loro a fare “mediazione” col prefetto e sono venute qui a dire agli occupanti di scendere, che si sarebbero valutati i singoli casi d’ingiustizia” ecc. Non hanno capito nulla,noi qui non lottiamo per pararci il culo; la nostra è lotta per tutti quelli vessati da leggi razziste. Tant’è che quelli sulla torre gli hanno risposto che prima di parlare IN LORO NOME, devono confrontarsi con loro…
La polizia osserva con discrezione, a distanza. Nel giro di poco più d’un ora la tendopoli si riempie, fino a straripare. Affluiscono compagni di varie associazioni e gruppi, ma anche semplici cittadini che passano di lì, prendono i volantini, leggono la bacheca, scrutano gli striscioni, versano il loro obolo di solidarietà alla cassa di resistenza.
Intorno alle11 e 30’ inizia l’assemblea. Mezzi dentro e mezzi fuori, con la pioggia che non da tregua. Centinaia di presenti. Bagnati, stanchi, ma tesissimi. La presidentessa ha l’aria di una peruviana: parla spedita, decisa, essenziale. Ricorda il senso della lotta: è ora di dire BASTA, bisogna emergere, sul nostro lavoro troppi ingrassano e poi ci buttano. Siamo uomini e non bestie. Allargare la lotta. Fare fronte coi lavoratori italiani, nostri fratelli. C’è un collegamento in diretta con Marcelo, su dalla torre. In mezzo a ripetuti applausi dei presenti, Marcelo ricorda i fatti e dice che se qualcuno crede di piegarli o di stancarli, si sbaglia di grosso.

La precedenza degli interventi, massimo tre minuti ciascuno, va alle delegazioni delle città.
Ed è allora un susseguirsi ininterrotto al microfono di immigrati di Brescia ( accolti da ovazioni e slogan ), di Verona, di Padova, Vicenza, Trieste, Torino e poi giù…Massa Carrara, Roma,Reggio Calabria (!!!) ed altre città ancora. Si chiedono poche analisi e molte proposte concrete di collegamento con la lotta. Quasi tutti vi si attengono.I toni sono alti. Vi è molta eccitazione negli animi ma l’assemblea scorre verso i suoi binari.
Quando tocca a me per Bergamo, mi avvicino alla presidentessa e le dico che non sono migrante e non faccio parte propriamente di un’ Associazione di Migranti. Mi risponde: “ Non importa, parla a nome di tutti quelli che la pensano come te.”
Allora prendo il microfono. La mano mi trema, ma la voce no, e dico che sono un operaio licenziato e che essere o no italiano non conta nulla, conta il far parte della comune condizione di lavoratori, tutti ugualmente sfruttati dal capitale. I quali devono affratellarsi e non farsi la guerra. Devono organizzarsi perché hanno contro di loro strutture organizzate. Che la loro lotta è di tutti perché la precarietà di lavoro e di vita, lo sfruttamento, le morti sul lavoro sono di tutti, non guardano credi, religioni, nazionalità. Che anche a Bergamo stiamo cercando di muoverci, con altri loro fratelli che aspettano solo di essere sollecitati nella stessa direzione.
Quando l’assemblea termina, ci si scambiano indirizzi, e-mail, telefoni. Ci si saluta calorosamente.
Alla prossima. A partire ovviamente da questi presidii già in essere, che hanno bisogno di sostegno. In primo luogo fisico, ma anche in denaro ed in generi alimentari.

Dicevo dell’importanza del protagonismo dei lavoratori migranti che sta emergendo.
Questa è la ricapitolazione di ormai decenni di lenta incubazione di una parte ESSENZIALE della classe operaia, vessata in ogni modo da governi di ogni tinta, e che ora, CON LE SUE FORZE, diventa questione sociale e- alla faccia dei benpensanti- “emergenza” sociale.
Ed allo stesso tempo, essa è preludio di movimenti assolutamente nuovi, anche nelle forme di lotta; che costringeranno i pigri, gli scettici, i sonnolenti a fare i conti con gente che non si accontenta del classico piatto di lenticchie, che non può essere facilmente corrotta con le sirene del “benessere”, che non potrà essere così supinamente svuotata nel lungo ciclo di uno “sviluppo ininterrotto”. Queste aspettative lo stesso capitalismo le può ormai solo proclamare, non mantenere.
Questa è la loro forza, ed è altresì la nostra forza.

 

Graziano Giusti


 

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