Sguardi e voci dalla stiva: lavoro
Prima del referendum
Da Parigi, nel giorno della Befana, il ministro Tremonti invia all’Italia e alla vecchia Europa un messaggio davvero incoraggiante: “La crisi non è finita. E’ come vivere in un video-game. Vedi un mostro, lo combatti, lo vinci, sei rilassato. E invece ne compare un altro, più forte del primo… ”. Dicono che il messaggio fosse diretto in primis al Cavaliere, smascherando la sua fiction infinita sulla crisi ormai passata e brillantemente superata. Per quanto ci riguarda facevamo a meno di sentircelo dire dal ministro , perché lo sappiamo e lo vediamo da soli.
Però la storia dei mostri è davvero una bella trovata e noi vorremmo utilizzarla per fotografare quello che sta avvenendo alla vecchia Fiat, o meglio alle nuove new-co. Il primo mostro è comparso a Pomigliano d’Arco l’estate scorsa. Dove Marchionni imponeva di tagliare il cordone ombelicale con i contratti nazionali, sottoscritti dalle parti, e quindi anche dalla Fiat, per inaugurare la nuova stagione del contratto solo aziendale. E su questo imponeva il referendum sulle sue condizioni: prendere o lasciare. Allora si diceva in giro che la cosa riguardava solo Pomigliano per via del suo elevato tasso di assenteismo operaio e si sosteneva che la contrattazione nazionale sarebbe rimasta intatta.
Ecco allora il secondo mostro: quello di Mirafiori. Ora appare chiaro a tutti che i diritti dei lavoratori secondo gli accordi pregressi sono solo carta straccia. Anche questa volta non manca il ricatto. Se non passa il placet niente investimenti e niente Suv che vedranno la luce a Torino – dice Marchionni. Per i lavoratori si prevedono più straordinari, meno pause e meno giorni di malattia pagati. E, naturalmente, più ritmo. Andate a rivedere tempi moderni, il mirabile film di Charlie Chaplin del 1936: è ancora attualissimo nella presentazione della moderna catena di montaggio.
A questo si accompagna l’obiettivo di indebolire e spappolare le organizzazioni sindacali, attuando e/o minacciando la delocalizzazione, erodendo la base dei lavoratori. Il referendum da espressione di autonomia dei lavoratori, per manifestare il loro libero consenso o dissenso, ora viene requisito e promosso dall’azienda, quale strumento di controllo che prevede l’espulsione di chi non è d’accordo.
Il risultato è ben descritto da Michela Marzano (Estensione del dominio della manipolazione. Dall’azienda alla vita privata): “A poco a poco la paura ha invaso il mondo del lavoro: paura del cambiamento forzato, paura della sanzione, paura di non raggiungere gli obiettivi, paura delle ritorsioni, paura dell’eccesso di lavoro, paura di essere licenziati. Una paura ossessiva, poiché legata molto spesso, al capitalismo finanziario…Oggi i lavoratori vivono nell’angoscia , che si traduce nell’impotenza dinanzi alla persistente instabilità del mercato (l’universo flessibile) contro cui non si può fare quasi nulla”
Si, esistono mostri che fanno paura, e sono anche tra noi. In bella evidenza e con molti tifosi.
Dopo il referendum
Il 46% dei dipendenti di Mirafiori, vincendo la paura, ha detto “no” al diktat di Marchionne. Lo schifo più grande è far passare per democrazia, per libera scelta, addirittura come «massimo della democrazia la consultazione di base» (Schifani), quella che un cervello sano, con un minimo di onestà intellettuale, non può valutare che come intollerabile costrizione. Se voti “si” avrai il lavoro, se scegli il “no”, la fabbrica chiude e va altrove.
Tutti sanno che molti “si” sono stati espressi da lavoratori e lavoratrici contro la loro intima convinzione, ma per forza maggiore, perché hanno i figli, il mutuo della casa… In proposito si può citare quell’operaia che ha detto a Landini, il segretario della Fiom: «Io devo votare sì, perché ho due bambini e un mutuo da pagare, ma voi della Fiom per favore andate avanti ».
La situazione alla quale i lavoratori sono stati sottoposti corrisponde a quello che, in termini psichiatrici, si chiama doppio legame: da un lato il potere dice che la tua scelta è libera e che dipende da te, dall’altro t’impone, con la minaccia di sanzioni, in questo caso la perdita del lavoro, di conformarsi a quello che esso vuole. Un rapporto squilibrato e oggettivo di potere e di forza, che induce una situazione di dipendenza e sofferenza, qualunque sia la scelta.
Quel modello autoritario che si vuole fare passare per democrazia aveva bisogno di un ben altro consenso. Si aspirava al plebiscito (all’inizio si parlava dell’80%) e n’è uscita una maggioranza risicata e una resistenza che è andata al di là delle aspettative. Nonostante tutte le pressioni, esercitate come un fuoco concentrico. Compresa quella irresponsabile di Berlusconi – una sorta di suicidio politico per il capo del governo italiano – che ebbe a dichiarare: «Certo, fa benissimo Marchionne a dirottare gli investimenti all’estero, se passa il “no” al referendum ». Dimenticando che per decenni la Fiat è stata foraggiata con denaro pubblico. Riuscite a immaginare una Merkel che invitasse la Volkswagen ad andare altrove?
Contestualmente è pazzesco, poco dopo il referendum, sentire in videoconferenza la litania di Berlusconi che in Italia non c’è democrazia perché i giudici lo perseguitano e pertanto devono essere puniti. Confrontiamo la sua libertà democratica con la libertà di chi lavora alla catena di montaggio ed è ricattato. Allora si potrà parlare con più pertinenza di democrazia in Italia.
Vista la situazione nazionale, la prima preoccupazione di un presidente minimamente decente dovrebbe essere il problema del lavoro (vedi recenti dati Istat), la situazione delle famiglie, dei giovani senza prospettive.
Ma, dice il ritornello del salmo: «L’uomo nella prosperità non comprende; è come gli animali che periscono» (Sal 49,13.21).
Roberto Fiorini