Sguardi e voci dalla stiva
Nel recente congresso delle Acli di Mantova, uno dei punti toccati con maggiore frequenza è stato il tema del Welfare, lo stato sociale. Si è sottolineato il suo indebolimento negli ultimi anni: i tagli ci sono stati su vari fronti, e si sono fatti sentire, ma senza coprire nuove fasce di povertà che si sono aperte e che si accentueranno. Il tema della giustizia e della redistribuzione della ricchezza, anche attraverso una tassazione progressiva, è ancora tutto da affrontare, mentre i grandi patrimoni riposano nel loro limbo dorato.
Ma che si pensa del welfare in Europa? Non è una domanda evasiva. E’ ormai il contesto necessario all’interno del quale collocare i quesiti. Devo confessare di essere rimasto sconvolto da un articolo di Barbara Spinelli, comparso su “La Repubblica” il 29 febbraio scorso. Il titolo “Welfare da salvare” sottolinea la situazione di grave rischio al quale il modello europeo è sottoposto.
La giornalista riferisce le dichiarazioni del governatore della banca centrale europea, Mario Draghi, che in una recente intervista, comparsa sul Wall Street Journal, ebbe a dichiarare : “Lo Stato sociale è morto”. Ora, che il Welfare sia malato perché non protegge tutti i cittadini, soprattutto i giovani, è evidente. Che debba essere riformato, certo. Ma che su di esso si debba innalzare una pietra tombale significa che si intende cambiare i connotati del modello che, sia pure con differenze interne, ha contraddistinto le impostazioni dei paesi europei.
In particolare il super Mario si riferisce alla Grecia dicendo che in quel paese si profila la nascita di un Nuovo Mondo. Ormai nessuno parla più di nuovi mondi perché, dopo tante promesse, non se ne vedono in giro, ma che addirittura quel paese con il cappio al collo, e con gli accattoni che si moltiplicano agli angoli delle strade, venga indicato come un esemplare in cui specchiarsi e verso cui andare è pazzesco. Eppure è questo che dice il governatore della BCE.
“Proviamo dunque a vederlo e pensarlo, il Nuovo Mondo proposto non solo a Atene ma a tutti noi.
È un mondo che abolirà il vecchio regime, e ci libererà dei sepolcri imbiancati dentro cui giacciono divinità ancora onorate, ma ormai finite: “All’esterno paiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume», di ipocrisia e iniquità. Tra questi sepolcri viene additato il Welfare: cioè quel sistema di protezione universale dai rischi della malattia, del lavoro, della vecchiaia, conosciuto in Europa dopo il ’45”.
Questa cosa è troppo brutta e angosciante per essere presa in considerazione. Ne ho avuto la riprova, parlando con un mio amico: “No. E’ impossibile” fu la sua reazione. E si va avanti come se non fossero già intervenute discontinuità significative e molto allarmanti che vanno nella direzione indicata da Draghi.
A sostegno di questa amarissima prospettiva, la giornalista cita l’economista americano Michael Hudson dell’Università di Missoury a Kansas City: “La crisi greca è usata come esperimento di laboratorio, per vedere fino a che punto la finanza può spingere verso il basso i salari e privatizzare il settore pubblico. È’ come nutrire sempre meno un cavallo per vedere se sarà più efficiente, fino a quando le gambe gli si piegano e muore”.
E commenta: “Ci sono momenti nella vicenda europea dei debiti sovrani in cui si ha l’impressione, netta, che sulla pelle dei greci si stia compiendo un esperimento neo-liberista, una sorta di regolamento dei conti con Keynes, Beveridge, Roosevelt. Si vuol capire sin dove regge un paese, se impoverito e sfrondato di Stato sociale”.
Penso che questo allarme vada politicamente preso sul serio, anche perché, come ha sottolineato l’Avv. Fabrizio Benvignati che ha presieduto il congresso della Acli di Mantova, “i mercati non hanno una politica”, anche se determinano profonde conseguenze politiche.
In proposito può essere utile accennare al pensiero che David Marquand esprime nel suo ultimo libro The End of the West. The Once and the Future Europe, presentato su “Il Mulino 1/2012 da Paolo Pombeni. Intanto va rilevato che ci troviamo di fronte a “una transizione storica e non una crisi economico-sociale. I centri propulsivi dello «sviluppo» non stanno più da questa parte del mondo, ma stanno, o forse sono tornati ad Oriente…o si collocano in quello che un tempo era una specie di periferia semi sviluppata come il Brasile”. Proprio in questa fase si impongono due “punti chiave”.
Occorre innanzitutto ”una legittimazione «democratica» che l’Unione europea deve assumere se vuole esercitare quel tanto di «sovranità» che è necessaria per governare una fase critica di transizione”. Infatti l’attuale crisi nella quale siamo inchiodati è “nelle mani di un comitato di riottosi capi di stato, preoccupati del loro incerto destino personale, mentre né la Commissione, né tanto meno il Parlamento europeo riescono a ritagliarsi un sia pure modesto ruolo”.
Di conseguenza, ecco il secondo punto, “la debolezza dell’Unione europea è nella sua incapacità di fare «politica». L’attuale miscuglio di tecnocrazie brussellesi…ed equilibri diplomatici fra i vari vertici di stati concorrenti non ha prodotto alcuna vera presenza politica”. Non solo manca una leadership europea quale espressione dei cittadini dell’Unione, ma anche a livello dei singoli stati nazionali si deve registrare un deficit di capacità di guidare i propri popoli. Senza una vera progettualità politica “l’Europa rischia di finire travolta in quello che un tempo si chiamava il tramonto dell’Occidente”. A mio avviso, il nuovo mondo di Draghi va in questa direzione.
Roberto Fiorini