rivista n° 99-100 – 2013

Parola e lavoro

Le pagine che seguono sono in gran parte composte da testimonianze di preti che per decenni si sono immersi nella vita di lavoro nelle fabbriche o, come nel mio caso nei servizi sanitari pubblici, non avendo mai tralasciato di aprire le pagine della Bibbia. Un antico padre, Gregorio Magno, diceva che la Scrittura cresce con il lettore. Cioè la sua comprensione diventa più profonda in rapporto alla maturazione di chi la legge. E’ indubbio che il lavoro quotidiano produce modificazioni importanti nella vita di chi lo adempie, e può anche lasciare delle pesanti conseguenze sul piano della salute fisica e pure ferite nella psiche e nell’equilibrio personale. Soprattutto, però, immerge in un mondo esigente e duro che costringe i soggetti a diventare adulti, esposti anche alle condizioni di oppressione e di sfruttamento, di squilibrio dei poteri che in esso si verifica. Spesso nell’impossibilità di reagire quando le proprie ragioni vengono ignorate.
Mai come oggi è stata attuale la testimonianza di Simon Weil, filtrata dalla propria vita di lavoro in fabbrica: “In conclusione, ho tratto due insegnamenti dalla mia esperienza. La prima, la più amara e la più impreveduta, è che l’oppressione, a partire da un certo grado di intensità, non genera una tendenza alla rivolta, bensì una tendenza quasi irresistibile alla più assoluta sottomissione. L’ho constatato su me stessa […].

Il secondo insegnamento è questo: che l’umanità si divide in due categorie: le persone che contano qualcosa e le persone che non contano nulla. Quando si appartiene alla seconda categoria si arriva a trovar naturale di non contare nulla – il ché non significa che non si soffra […] Per gli sventurati, l’inferiorità sociale è tanto e infinitamente più pesante a portare in quanto ovunque essa viene presentata come qualcosa di assolutamente naturale” (La condizione operaia, Milano 1980, 149.137)…

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