Il Vangelo nel tempo / itinerari di approfondimento


Sono due termini che si completano a vicenda: non c’è l’uno senza l’altro. Quest’anno ricorrono due anniversari: 70 anni dalla morte di Hetty Hillesum e 20 da quella di Tonino Bello. Due persone che hanno avuto un rapporto stretto con la Parola e il silenzio.
Dal diario di questa donna, morta nel lager nel 1943, si legge questo brano:
 

Oggi pomeriggio ho guardato alcune stampe giapponesi. Mi sono resa conto che è così che voglio scrivere: con altrettanto spazio attorno a poche parole. Troppe parole mi danno fastidio. Vorrei scrivere parole che siano organicamente inserite in un gran silenzio, e non parole che esistano solo per coprirlo e disperderlo: dovrebbero accentuarlo piuttosto. Come in quella illustrazione con un ramo fiorito nell’angolo in basso: poche, tenere pennellate e il grande spazio tutto intorno, non un vuoto, ma uno spazio che si potrebbe definire ricco d’anima. Io detesto gli accumuli di parole. In fondo ce ne vogliono così poche per dire quelle quattro cose che veramente contano nella vita. Se mai scriverò, e chissà poi che cosa?, mi piacerebbe dipingere poche parole su uno sfondo muto. E sarà più difficile rappresentare e dare un’anima a quella quiete e a quel silenzio che trovare le parole stesse, e la cosa più importante sarà stabilire il giusto rapporto tra parole e silenzio, il silenzio con cui succedono più cose in tutte le parole affastellate insieme”.

 

Prendo spunto da questo brano per una riflessione sulla parola e il silenzio, ambedue legati e che si rafforzano tra di loro. La stessa cosa avviene nella musica: senza le pause essa diventa troppo carica e perde il suo valore coinvolgente. Troppe parole e troppi proclami annullano il loro valore rimanendo come foglie secche che il vento disperde. Troppi cartelli stradali non servono, non vengono letti e guardati. E’ questo il tempo della proliferazione di tutto, presi dalla fretta e direi drogati più dalla moltiplicazione che dalla divisione e sottrazione. Il troppo e il martellamento continuo è usato da chi non lascia liberi, da chi vuole esercitare un controllo per addormentare le coscienze, rendendole dipendenti, ottenendo tuttavia l’effetto contrario come il disinteresse e menefreghismo. La velocità degli avvenimenti ci costringe a dare risposte immediate, che la maggior parte delle volte non sono frutto di interrogativi, ma da idee preconcette. Il preconcetto viene esercitato da chi non sta nella stiva, per utilizzare un’immagine cara a noi preti operai.
La parola inoltre non è un circolo chiuso, conclusa, essa si ricrea, ha la capacità di generare facendo continuamente figli e per questo ha bisogno di un tempo di pausa- silenzio come il bimbo nell’utero della madre. Utilizziamo spesso la parola “mistero” come fosse un termine che indica incomprensibilità, esso indica invece una realtà grande che non si esaurisce mai. E’ un fiume carsico che riemerge e scompare, facendo un lavorio sotterraneo che al momento giusto si rivela in tutta la sua chiarezza cristallina alle persone che noi chiamiamo profeti. Ed è per questo è legata al silenzio, come momento e tempo di rielaborazione per ampliare la Parola, i suoi significati, ancorata alla storia e all’oggi., con le radici nell’esperienza, frutto del vissuto.
Un pensiero dei nativi Apache afferma: “Grande Spirito, preservami dal giudicare un uomo, non prima di aver percorso un miglio nei suoi mocassini”.
Il silenzio ridà senso alla Parola, che non è come una “vecchia prostituta che tutti usano, spesso e male”, ad essa va dato il suo significato : il profeta e il poeta sono in grado di restituire la sua verginità.
In questo lavorio sotterraneo essa ha anche la capacità della immediatezza, pronunciata al momento giusto, in una situazione precisa, divenendo comprensibile. L’evangelista Luca afferma: “Nell’anno quindicesimo del governo dell’imperatore Tiberio… allora la parola del Signore scese su Giovanni” ( Lc 3, 1 ).
Un altro legame della parola è con l’ascolto, un tema prettamente biblico: “Ascolta Israele”, perché Lui “ ha ascoltato il grido del suo popolo”.
In questa maniera diventa creatrice e liberatrice. Parola che diventa storia e nello stesso tempo crea la storia. Il profeta ascolta, si accorge dei tempi nuovi e guarda oltre, è un sognatore.

E qui un accenno a Tonino Bello è d’obbligo:
 

Qualcuno ha detto che il sogno è il teatro dei poveri. Ecco allora la domanda: i poveri vanno a teatro per evadere, o per trovare i criteri interpretativi della loro realtà di sofferenza? Fuori metafora: di che genere sono i sogni dei poveri? Sono il ripostiglio dove vanno a finire i loro desideri repressi, o il laboratorio dove confezionano i segmenti per costruire il futuro? Sono il rifugio dove, andando a ritroso, raggiungono una improponibile età dell’oro o la spiaggia dove fanno le prove generali dei cambi decisivi della storia? Sono l’isola felice che essi contemplano dai relitti delle loro disperazioni o l’approdo dove sono già collocati i cantieri delle loro speranze?”

 

Le parole chiave di questo discorso sono: sogno, ripostiglio e laboratorio.
I sogni fanno parte della nostra quotidianità, volenti o nolenti essi entrano nel silenzio delle nostre notti e ci parlano, esprimendo le nostre paure, ansie, problemi , ricordi e progetti. Possono essere anche premonitori, segni del futuro.
La parola è legata al sogno, che è un progetto e che ci fa guardare lontano. Il sogno rimane tale se non è condiviso, se non trova compagni di viaggio e degli interlocutori .
Diversamente essa entra nel ripostiglio arrugginendo, coprendosi di polvere nell’attesa che qualcuno gli faccia prendere aria e qualche volta portata alla discarica. Gli arnesi, lasciati nel ripostiglio troppo a lungo diventano inutili, non più adatti all’oggi, più oggetti da museo che mezzi per operare. La parola per essere viva diventa laboratorio. Come artigiano capisco il significato del laboratorio: là dentro si creano sempre opere diverse, nessuna è uguale all’altra, dove la fantasia e la creatività vengono coniugate ogni momento I prodotti creati acquisiscono la loro bellezza se nella elaborazione del progetto sono immaginati in un luogo e contesto preciso. L’artigiano ha bisogno del silenzio per operare e creare e non per niente oggi l’artigianato è quasi scomparso perché la fretta, la velocità, il rumore assordante non gli si addicono. Artigiani della parola, potrebbe diventare un progetto per gli operai del Vangelo, che non ripetono a memoria ma che sanno coniugare col tempo, con la storia, con la vita questa Parola che si fa carne.

Mario Signorelli


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