Sguardi e voci dalla stiva / lavoro e dintorni
L’estate scorsa 40 lavoratori marocchini, donne e uomini, hanno fatto emergere, nel profondo Nord Italia, una realtà che nessuno conosceva né poteva immaginare.
Castelnuovo Scrivia è un paese di poco più di 5 mila abitanti, al centro della Bassa Valle Scrivia, in provincia di Alessandria, sul confine con la Lombardia, a 10 km da Voghera.
La campagna, molto fertile, è coltivata in gran parte a ortaggi e rifornisce i mercati di Torino e di Milano, oltre a importanti aziende della grande distribuzione commerciale. Il lavoro di raccolta è affidato, da anni, dagli agricoltori di questa zona a lavoratori stagionali, provenienti soprattutto dal Nordafrica.
Verso la fine del giugno scorso, una quarantina di donne e uomini marocchini, impiegati come braccianti presso l’azienda agricola “Bruno Lazzaro” di Castelnuovo Scrivia, hanno detto “basta!” alle condizioni in cui venivano costretti a lavorare: hanno incrociato le braccia ed hanno iniziato a presidiare i campi in cui lavoravano.
Le condizioni di vita e di lavoro di queste persone erano tra le più disumane, una sorta di schiavismo, senza catene!
Orari di lavoro insostenibili: si inizia alle 6,30, si fa una pausa di mezz’ora alle 14,30, e poi si ritorna a raccogliere verdura sotto il sole cocente fin dopo il tramonto. Spesso erano costretti a dissetarsi bevendo l’acqua dei canali di irrigazione, acqua che arriva direttamente dal torrente Scrivia!…
Alcuni erano alloggiati nell’azienda agricola in condizioni spaventose, dormivano in quattro tra rifiuti e attrezzi agricoli. Tutto questo per un salario che è eufemistico definire “da fame”.
Dice Mimouna, la donna marocchina di 38 anni che ha dato il via, insieme ad altri, alla protesta: “Non so come pagare l’affitto. Prima prendevo 5 euro all’ora, poi 1, ora più nulla”.
E Elkoumani Lahcen: “Da due anni non ricevo lo stipendio completo: solo acconti. A questi devo togliere anche le spese per il materiale che uso per lavorare, come ad esempio i guanti, stivali, vestiario.
Un aspetto inquietante della vicenda è il sospetto di una vera tratta di donne e di uomini gestita da organizzazioni criminali, che lega il Piemonte e la Bassa Valle Scrivia ad alcune zone agricole del Marocco, da dove provengono i migranti.
Questa vicenda ha mobilitato i sindacati e numerose associazioni e forze politiche della zona.
La CGIL di Alessandria ha sostenuto il presidio che gli scioperanti hanno iniziato, costruendo delle piccole tende presso i campi dove lavoravano, salvo poi disconoscerlo verso la fine.
In un comunicato del 15 settembre si legge:
“Il Presidio permanente di Castelnuovo Scrivia, nato dalla lotta dei braccianti marocchini dell’azienda agricola “Bruno Lazzaro”, continua, come continua la campagna di solidarietà attraverso la Cassa di Resistenza, già avviata con la distribuzione di viveri e di fondi per questi lavoratori, a cui hanno partecipato decine di cittadini, associazioni, partiti, uomini delle istituzioni che hanno scelto di stare con loro.
La vertenza ha segnato un primo punto importante a proprio favore: la Procura della Repubblica di Torino ha dato il nulla osta per il riconoscimento dei permessi di soggiorno ai lavoratori marocchini irregolari a seguito della denuncia per riduzione in schiavitù.
Restano però sul terreno molti nodi irrisolti che vanno dalla ricollocazione lavorativa dei braccianti, alle vertenze per il recupero delle somme arretrate e dei contributi evasi dai Lazzaro, alla violazione sistematica degli accordi sindacali, alla discriminazione razziale, fino all’inchiesta sulla vicenda della Procura torinese affidata al giudice Guariniello.
I braccianti marocchini della “Lazzaro” che hanno alzato la testa oggi rappresentano un utile esempio per i braccianti di tutta la zona: meno “nero”, più assunzioni, più controlli sulle condizioni lavorative, maggiore coscienza dei propri diritti. E’ un’esperienza importante, destinata certamente a produrre risultati.
In Bassa Valle Scrivia è nata una nuova “primavera”, un movimento nuovo, cresciuto dal basso. I migranti che lavorano nei campi, nell’edilizia, nelle fabbriche, nei servizi, sono ben coscienti dei loro diritti, vogliono il rispetto della loro dignità di uomini e di donne sul lavoro e nella vita.
Ringraziamo questi lavoratori che ci hanno fatto riscoprire pratiche, forme di lotta e radicalità nuove, alle quali abbiamo dato la nostra adesione convinta in termini di partecipazione”.
(Presidio permanente – 15 settembre 2012).
In questo triste inverno di crisi e di difficoltà, è purtroppo calato un grave silenzio intorno a questa vicenda, tutt’altro che conclusa.
Per rinfrescare la memoria a molti, nei prossimi giorni, chiederemo a Provincia e a Prefettura che fine hanno fatto gli impegni di ricollocazione di questi lavoratori, a suo tempo assunti, lavoratori che a tutt’oggi sono disoccupati, salvo quattro di essi! Altri hanno scelto la strada del ritorno in Marocco, almeno per i mesi invernali.
Siamo stati purtroppo facili profeti quando abbiamo detto e scritto che la vicenda non poteva dirsi conclusa con la scelta di ricollocazione lavorativa di una parte di essi sull’intero territorio della Provincia, attraverso borse lavoro della durata di soli 3 mesi, a 20 ore settimanali, 530 euro mensili, interamente pagati dalla Provincia di Alessandria, senza alcuna garanzia di continuità occupazionale.
Si è aspettato troppo tempo, tempo perso in trattative defatiganti con i Lazzaro, prima di dare in mano ai legali del sindacato le vertenze salariali per il recupero di migliaia di euro arretrati per ore non pagate.
Dal 22 giugno – giorno di inizio della rivolta – questi lavoratori non hanno più percepito salari arretrati, se non irrisorie “una tantum”.
Ancora oggi a loro serve tutto: cibo, vestiario, aiuti, che noi solidali forniamo in mezzo a mille difficoltà.
Anche le denunce penali, per riduzione in schiavitù, inoltrate presso la Procura della Repubblica di Torino, non hanno finora avuto un seguito.
Ci auguriamo che non finiscano nel dimenticatoio, bensì che la giustizia faccia il suo corso.
Stiamo organizzando la presentazione del video “Schiavi mai!”, realizzato sui 74 giorni di lotta dei braccianti della “Bruno Lazzaro”, in Provincia e in tutt’Italia.
Abbiamo bisogno di infrangere i muri del silenzio alzati su questa vicenda, affinché a questi lavoratori vengano riconosciuti i loro diritti e la loro dignità di donne e di uomini, sul lavoro e nella vita.
Uniti ce la possiamo fare, ce la dobbiamo fare.