— ricordiamo
Pippo Anastasi

Così i giornali locali hanno voluto dare l’ultimo saluto a Pippo: “Ciao, Pippo Anastasi (Una vita spesa per i giovani). Addio Anastasi. Difendeva diritti, libri e Costituzione”. Fondatore dell’Associazione “U.Terracini”, lo ricordano per il suo impegno nella città di Avigliana. Con l’amministrazione ha sempre collaborato con progetti rivolti ai giovani: “Giovani: problemi o risorse? La città e i giovani”. La consulta disabili, l’avvio del “laboratorio permanente di Politica e cittadinanza”. Amante della Costituzione, fece parte del “Comitato a difesa della Costituzione”, deciso nell’affermare i suoi ideali di educazione alla cittadinanza. Un uomo di cultura e “principi” tra i più impegnati nella nostra città. La città di Avigliana lo saluta come “instancabile animatore di tante attività sociali della Città”. Pippo era un uomo semplice, probabilmente non si aspettava questo riconoscimento. Era molto severo nei giudizi e gli amministratori locali, passati e presenti; si ricorderanno sicuramente i suoi interventi per “smuovere” questa classe politica che era diventata sempre più assente “al grido” dei suoi cittadini.
Pippo è nato a Bronte, città etnea, conosciuta in tutto il mondo per la produzione di pistacchio (oro verde) e non certo per il massacro di Nino Bixio nel 1860. La famiglia era modesta, ma non mancava il ”pane” diceva lui. Figlio di pastori, è entrato in seminario per volontà della sorella, a cui era stato negato il desiderio di entrare in convento. Dal piccolo seminario di Bronte è passato a quello di Catania, e diventerà prete il 15 agosto 1956 (a 23 anni e mezzo ripeteva sempre). Il vescovo e il vicario generale lo hanno voluto al duomo di Catania come vice parroco. La borghesia catanese lo apprezzava. Ma è Dio che opera nella storia, senza che noi uomini ce ne accorgiamo. E così a novembre del 1961 è diventato parroco della parrocchia S. Cristoforo: ha accettato per “ubbidienza”, anche se non tanto. Il quartiere S. Cristoforo era povero, non solo economicamente: le donne lavoravano, lasciando i bambini alla vicina di casa. Non c’erano strutture, né servizi. I ragazzini facevano le loro prime esperienze malavitose: scippi e ruberie in genere. Niente scuola, un tasso altissimo di evasione scolastica! I più grandi entravano nei clan. In questo quartiere ha scoperto la solidarietà fra coloro che non hanno nulla, il buon rapporto di vicinato. Il rispetto per il parroco era sacrosanto: è qui che incomincia a prendere coscienza del suo essere prete! Incominciò a togliere i sacramenti a pagamento, i colleghi limitrofi protestarono. Si rifiutò di fare la campagna elettorale alla DC, che nell’occasione prometteva posti di lavoro negli ospedali o in comune, oltre che il pacco alimentare. Qualche tiratina di orecchie dai suoi superiori non gli è mancata!
Sono gli anni della contestazione: Sì al Vietnam libero contro l’imperialismo americano! L’ America Latina e le comunità di base lo hanno subito affascinato: a Firenze le prime esperienze dell’Isolotto.
Formò il gruppo Giovani: saranno per sempre i suoi “ragazzi”, anche dopo 40 anni. Si incominciava a parlare di Lotta di Classe, si cercava di stare alla larga da CL che stava invadendo anche il quartiere, con la sua evangelizzazione.
Giulio Girardi, Arturo Paoli, Danilo Dolci, Don Milani, Don Primo Mazzolari, Bonhoeffer, La teologia della Liberazione, Leonardo Boff, E. Mounier, l’Abbè Pierre, erano i suoi punti di riferimento. Non mancavano Marcuse e Sartre.
Aveva bisogno di capire meglio il suo essere prete!
Si avvicinava, piano piano alle esperienze dei preti operai francesi ed italiani attraverso i loro scritti. Si confrontava con i giovani, ma anche con gli anziani (era riuscito a far votare questi ultimi per il PCI nel 1976). Si realizzava sempre più la scelta del lavoro: prete e operaio!
Così un mattino ha indossato la tuta di meccanico ed è uscito dalla Chiesa con un nuovo abito: “Bravo padre Anastasi, lei sì che è un uomo”. Finalmente si sentiva libero, “Un uomo tra gli uomini”: la lavanda dei piedi di Gesù era questa! Ma Catania non offriva molte opportunità, se non altro per l’estrema difficoltà di mettere in atto delle scelte giudicate a dir poco “eretiche”. Pippo avrebbe voluto restare nel “suo” quartiere, e testimoniare lì un nuovo modo di intendere il sacerdozio. Le maggiori difficoltà, e l’isolamento da cui riuscì a liberarsi dopo anni, paradossalmente non gli venivano dai suoi parrocchiani, ma dalle gerarchie ecclesiastiche e in parte dai suoi stessi familiari. Così decise di trasferirsi a Torino (1973). L’obiettivo immediato era quello di frequentare una scuola per meccanico, dalla quale ottenne un diploma di qualifica, e intanto trovò lavoro come camionista, e in seguito con una ditta che si occupava della manutenzione di un campo di golf ad Avigliana, in cui anni dopo si stabilirà con la famiglia.
Incominciò a prendere i suoi primi contatti con la Gioc e a conoscere i preti operai torinesi: don Carlo Carlevaris, Gianni Fornero, Gianni Fabris (diacono), Aldo d’Ottavio, Toni Revelli, De Michelis, Silvio, Michele, Silvano, Beppe, ecc. Grazie ai preti torinesi partecipò al primo convegno di preti operai di Serramazzoni. Non aveva mai lavorato alla Fiat come dipendente, ma con una ditta esterna aveva avuto la possibilità di conoscere un pezzo di storia italiana. Si definiva l’uomo del ”marciapiede” per il lavoro di manutenzione stradale che svolgeva a Torino: il periodo invernale era duro per il freddo e la neve. Condivideva la sua pausa pranzo con i suoi compagni di lavoro che riscaldavano il “barachin” dentro un recipiente pieno di acqua bollente (il loro forno a microonde). Nel 1978 il Comune di Torino lo volle come consulente al nascente “Progetto Giovani”. Era sindaco Diego Novelli. Nel settembre dello stesso anno un gravissimo incidente stradale non gli permise di recarsi al posto di lavoro, per 1 anno. Come consulente non ebbe diritto alla indennità di malattia, ai versamenti pensionistici ecc. Per un anno non percepì alcuna parcella, e chiese all’assessore di sospendere il contratto fino al suo rientro: la legalità prima di tutto! Nel periodo dell’incidente ha incominciato a porsi la domanda del suo domani. La scelta di condividere la sua vita con una compagna: “Gli farò una compagna con cui condividere la sua esistenza e vide che tutto ciò era buono”. Non ha mai messo in discussione il celibato ma metteva in discussione le scelte di questa “santa madre Chiesa che non si è mai curata dei suoi sacerdoti”. La solitudine lo rendeva triste.
Negli anni della sua malattia ringraziava Dio per averlo sostenuto nella scelta di formarsi una famiglia. Ripeteva spesso: “Chi mi avrebbe curato? La Chiesa dovrà affrontare in maniera seria questo problema, altrimenti i preti saranno frustrati e vivranno solo per le funzioni quotidiane, un palliativo per nascondere il problema”.
Così il 23 maggio 1981 si è sposato con rito civile: Il 28 gennaio 1995 al duomo di Torino. Su proposta di monsignor Giorgio Micchiardi, vescovo ausiliare di Torino, si è celebrato il matrimonio religioso. Erano presenti nella concelebrazione, don Carlo Carlevaris e don Aldo D’Ottavio oltre don Francesco, allora parroco: fu una emozione grandissima! Non riusciva a parlare, il pianto gli bloccava i pensieri. La presenza di don Carlo era stata vissuta come la presenza di Dio. Dal matrimonio con Rosy nasceranno Chiara, Brunella ed Emanuele
Dopo un anno di assenza dal lavoro, riprese a lavorare come responsabile del laboratorio di quartiere di Mirafiori Sud. Un quartiere con potenziali rischi per i ragazzi. Passerà alla formazione professionale, come insegnante di sostegno fino alla pensione. Seguiva i ragazzi con amore e raccontava sempre di Fabio, un quindicenne, “Povero figlio, senza genitori, gli è morto lo zio a cui era stato affidato e il nonno”. Fabio a scuola dormiva, non si pettinava, aveva i quaderni sempre in disordine. Pippo era riuscito a farlo parlare, a fargli “buttare fuori” ciò che lo rendeva triste. Fabio incominciava a cambiare. Non dormiva durante le lezioni, si pettinava ma i quaderni erano sempre disordinati. Con la pazienza che lo contraddistingueva, fece notare al ragazzo che i quaderni lasciavano ancora a desiderare. Fabio rispose con la semplicità di un ragazzino: “Professore, adesso che vengo a scuola contento, lei mi fa notare che i quaderni sono disordinati!”. Fabio aveva ragione e Pippo gli chiese scusa per questa sua leggerezza. Una ragazza che stava facendo una tesi sulla figura del professore di sostegno, si stupì di come Pippo fosse felice del suo lavoro. Una cosa insolita per lei che aveva incontrato vari insegnanti.
Al medico che da qualche anno lo aveva in cura e che lo apprezzava per la sua cultura (un giorno lo trovò che leggeva Norberto Bobbio) raccontava che lui in famiglia era il “Ministro degli Interni”: si occupava della casa e dell’orto. La moglie, invece era “Ministro degli Esteri”: le relazioni esterne erano di sua competenza. Era un modo per fare cooperazione: e lui sì che credeva ad un mondo migliore, libero da una economia liberista, di capitali che arricchiscono una piccola parte a scapito della maggioranza, della povera gente, degli oppressi, degli ultimi.
La spartizione della torta in parti uguali, il cesto di frutta da condividere, erano piccoli esempi per fare capire il significato di cooperare. La globalizzazione dei diritti, della solidarietà fra i popoli, erano la sua speranza! Perciò il pensionamento fu solo dal lavoro retribuito, non dall’impegno sociale e politico, continuato per anni insieme a Rosy, che nello stesso tempo aveva assunto anche la carica di consigliere comunale ad Avigliana (non assessore, in politica non si fa carriera se non si va d’accordo con il segretario del partito). Dall’interno della giunta comunale e, per Pippo, dall’esterno, per anni si è cercato di rispondere alle esigenze più rilevanti della cittadinanza, e nello stesso tempo si è coltivata l’ ”utopia” di far crescere civilmente e politicamente i giovani del paese, con tante iniziative culturali, coinvolgendo personaggi significativi della politica nazionale.
La semplicità e la voluta modestia (a volte proprio fuori luogo) di Pippo hanno accompagnato il lavoro di questi anni, vissuti seguendo la vocazione che non lo ha mai lasciato. Poteva anche non poter celebrare messa (il che gli pesava sempre), ma il suo modo di intendere il cristianesimo e l’essere, nonostante tutto, un sacerdote, è stato sempre presente nel suo impegno e, per chi lo conosceva, del tutto evidente. E, insieme, il desiderio e la volontà di capire, di informarsi, di studiare. A parlare con lui si restava sorpresi dalla sua immutata capacità di ascolto, e dalla assoluta mancanza di presunzione.
Brunella, durante il funerale lo ha voluto ricordare così:
Davanti alle ingiustizie del mondo, che chiamava “cose storte”, papà ci recitava questa preghiera:
“Signore dammi il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare
Dammi la pazienza di accettare quelle che non posso cambiare
Dammi la saggezza per distinguere le une dalle altre”
Un’altra citazione ricorrente era La lettera di Paolo ai Filippesi:
“Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, tutto quello che è virtù merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri”.
E ancora le parole di Paolo nella lettera ai Romani:
“Rallegratevi con quelli che sono nella gioia. Piangete con quelli che sono nel pianto”.
Credeva nella provvidenza sperimentata costantemente nella sua vita, e sintetizzava questa sua fiducia con le parole di Gesù:
“Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù”.
A Chiara, Brunella, Emanuele, diceva sempre di non accontentarsi di un lavoro solo per il guadagno, perché pagato bene, ma inseguire le proprie passioni e impegnarsi in modo serio per quello che si desidera fare davvero.
“Pippo ci ha lasciato“ penso che sia una frase incompleta.
Infatti ci ha lasciato il suo esempio di amore per la famiglia, di generoso impegno sociale, d’innamoramento per la parola di Dio, di attenzione premurosa verso i più deboli e i più svantaggiati. Ci ha lasciato—-TANTO! (una testimonianza..)
Ricordando gli Indios dell’Amazzonia:
“Quando si muore lottando per la vita non si muore mai, perché la vita trionfa sulla morte”.
“I nostri martiri non sono sepolti ma ‘seminati’, in maniera che nascano nuovi guerrieri”.
Questa semina è il “donarsi agli altri”, perché la storia possa continuare ad essere sempre scritta.
ROSY PATRIZIO E ANGELO MORALES
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