Parole di Piero: orizzonti (1)
“Non fu il cristianesimo a convertire l’impero romano all’epoca di Costantino. Furono i romani a convertire la Chiesa in potenza imperiale. Allo stesso modo non fu il cristianesimo a evangelizzare l’Occidente, ma fu il capitalismo occidentale a impregnarlo del suo spirito usuraio, individualistico, competitivo” (Frei Betto, Adista doc. 20.05.2016 p.8 )
Il sogno di una “Chiesa altra” l’abbiamo ereditato dal Concilio e l’abbiamo fatto nostro con la scelta del lavoro operaio. Tra le motivazioni che ci hanno spinto ad andare in fabbrica, quelle “ecclesiali” erano di grande rilevanza. Io le avevo espresse con queste parole:
- passare davvero da una Chiesa gerarchica piramidale alla “Chiesa Popolo di Dio”
- abbandonare ogni privilegio e ogni forma di potere, per essere “uomo tra gli uomini”
- vivere del mio lavoro, rinunciando a qualsiasi provento legato al ministero
- concretizzare un nuovo modello di prete inserito nella vita della gente comune. Leggendo ora l’intervento di Congar del 1967, trovo che ha espresso magistralmente quella che era l’istanza fondamentale del Concilio, “la Chiesa nel mondo”:
“È il mondo che ci impone i suoi problemi. Non è più la società chiesa, bensì il mondo che determina i problemi, è lui che suscita delle questioni difficili riguardo alle affermazioni della fede. L’aggiornamento conciliare deve portarci a un modo di essere, di parlare e di impegnarci, che risponda all’esigenza di un totale servizio evangelico al mondo“.
Sono parole profetiche della massima attualità, che invitano la Chiesa di oggi a riprendere in mano il Concilio Vaticano II°. Noi preti operai possiamo e dobbiamo mettere a disposizione quello che abbiamo maturato nella nostra abbastanza lunga esperienza di vita e di riflessione personale e collettiva e che ci sostiene ancora oggi nel cammino di fede che ci resta da percorrere.
1. “Uomo tra gli uomini” (Filippesi 2, 7)
In fabbrica ho imparato a sentirmi in una relazione paritaria con uomini e donne. Ancor oggi mi viene spontaneo sentirmi in sintonia più con persone lontane dalla fede o in ricerca, che non con chi vive sicuro e protetto dalla religiosità tradizionale.
La comunità dove celebro l’eucaristia la domenica è una comunità che si sforza di condividere la vita e i problemi della gente, partecipando attivamente alla vita della città e praticando l’accoglienza e la vicinanza a chi è nel bisogno.
Noto invece che la chiesa tradizionale vive molto assorbita dalla propria vita interna e spesso nessuno si accorge dei problemi “laici” che vivono le donne e gli uomini. Manifestazioni importanti che hanno coinvolto ultimamente la città (operai in difesa del posto di lavoro, donne contro il femminicidio, islamici contro il terrorismo, lotta contro un progetto di inceneritore di pneumatici…) sono state pressoché ignorate dalle comunità parrocchiali. Ho l’impressione che il messaggio sociale, che il Papa con ostinazione impartisce quotidianamente, non trovi molta ricaduta nella base della Chiesa.
2. “egli deve crescere, io invece devo diminuire” (Giov. 3,30)
La vita operaia mi ha veramente spogliato del ruolo di prete.
Oggi nella comunità mi sento molto più “fratello” che non “padre”, “maestro” o “leader”.
Nell’attuale frangente in cui i preti vanno progressivamente diminuendo, vedo l’occasione provvidenziale perché il ministero ordinato lasci sempre più spazio ai laici e alle laiche.
Il prete dovrebbe essere sempre più liberato da mansioni in cui i laici sono generalmente più competenti, come la gestione del denaro, l’amministrazione degli immobili, l’organizzazione di eventi. Ma anche negli aspetti pastorali propriamente detti ai laici dovrebbe essere riconosciuta maggiore responsabilità. In modo particolare, penso che oggi le comunità cristiane avrebbero bisogno più di Parola che di Sacramenti. Perciò, piuttosto che preoccuparsi di tappare i buchi degli orari delle messe, sarebbe più utile offrire occasioni di studio e di riflessione biblica, al fine di “riconsegnare la Parola di Dio al Popolo di Dio”. In prospettiva, vedrei un tipo di prete non clericale e un modello di Chiesa non legata a un presbiterato esclusivamente maschile e celibatario. Una Chiesa più laicale sarebbe certamente più in grado di battersi con le sfide con le quali si confronta oggi l’umanità.
3. “annunciare Cristo gratuitamente” (1 Corinti 11, 18)
È troppo chiedere che la Chiesa “rinunci spontaneamente” a certi diritti (privilegi) che ha ottenuto dallo Stato, “ove constatasse che il loro uso potrebbe far dubitare della sincerità della sua testimonianza” (Gaudium et spes n. 76 ), al fine di fondare la sua opera sulla fedeltà al Vangelo e non sulle forze umane?
Almeno però sarebbe necessaria trasparenza e serietà nell’uso del denaro:
- Pubblicare i bilanci delle diocesi, compresa la destinazione dell’8 per mille.
- Pagare le tasse dovute allo Stato.
- Abolire le tariffe di messe, sacramenti e altre prestazioni “sacrali”.
- Abolire gli spot in televisione per chiedere.
Chiudo con le parole con cui Enrico Peyretti ha ricordato i 90 anni di Carlo Carlevaris:
“Il fenomeno dei preti operai ha declericalizzato il prete, non più fissato dentro la casta clericale separata, e ha desacralizzato la sua funzione, portandola dal culto laterale rispetto alla vita, alla quotidiana fraternità e solidarietà umana, nutrita da fede e preghiera, con le condizioni di vita più faticose: il modello è la vita di Gesù, che vive e mostra l’amore divino immerso pienamente nella condizione umana. Quella esperienza ha precorso il mandato di papa Francesco alla Chiesa di vivere nelle “periferie umane”
(Enrico Peyretti, Il foglio 432, p. 2).
Certamente l’elezione di Papa Bergoglio ha fatto rinascere la speranza in tutti coloro che aspettavano una rivalutazione dello spirito del Concilio.
La sua testimonianza di povertà e di semplicità evangelica, i suoi richiami contro il carrierismo e il lusso nella Chiesa e la sua costante attenzione agli ultimi e ai problemi più drammatici che vive oggi l’umanità, ci danno la fiducia che anche per la Chiesa si può sperare in un “nuovo inizio”.
Piero Montecucco
Articolo pubblicato in PRETIOPERAI n. 113-114 del 2016