Editoriale




E’ molto difficile trasformare in parole comunicabili quello che stiamo vivendo in questo tempo dominato dal coronavirus. Soprattutto non è possibile imbastire qualcosa di organico perché troppi sono i livelli coinvolti, compreso anche il sentire intimo del proprio credere. D’altra parte occorre fare i conti con la dimensione planetaria che ora si impone in maniera drammatica e che coinvolge il presente e il futuro del nostro vivere sulla terra, con l’attuale assetto organizzativo dominato da una complessità entrata in fibrillazione.

Innanzitutto si affaccia il pensiero della fragilità della nostra vita che è costretta a percepire la minaccia che giunge attraverso il respiro. Evidentemente la cosa non è nuova: l’inquinamento, le micro polveri, l’amianto sono entrati nella nostra consapevolezza. Ma gli effetti, anche letali, sono rimandati nel tempo, non sono immediati. Invece l’irruzione del coronavirus non dà tempo e in troppi casi non dà scampo. Con l’estensione della pandemia. Il fatto nuovo, è che questa fragilità si manifesta nel mondo potente e tecnologizzato dell’Occidente. Come una sabbia negli ingranaggi del suo funzionamento. La velocità del contagio è figlia del vortice degli spostamenti e della rapidità con la quale si divorano le latitudini. Penso che mai in passato un’infezione virale o di agenti infettivi abbia bruciato tanto velocemente le tappe per estendersi a livello planetario. La rapidaciòn (rapidizzazione), caratteristica del nostro presente è diventata la stessa del coronavirus. Ne parlava papa Francesco nella sua Laudato sì, ma non immaginando quello che il Covit-19 ci sta rivelando1.

Ora anche in Occidente si prova quella fragilità che è endemica in molte parti del mondo e che interessa la maggior parte dell’umanità. Se facciamo girare il mappamondo siamo in grado di segnare col dito i tanti territori dove sono negati i bisogni essenziali (acqua, cibo, farmaci efficaci e non adulterati…). Riusciremo a capire che vi è un’unica famiglia umana e che la terra, il nostro pianeta, è la navicella spaziale che dobbiamo custodire e curare, perché è malata? Questa pandemia ha una forte capacità rivelativa perché sa violare tutti i nostri steccati e attraversare i muri, le convenzioni che si sono solidificate nel tempo e nelle strutture, ma che non reggono al suo confronto. Passerà anche questo momento, forse ritornerà il sereno, ma ignorare la rivelazione che sta avvenendo – penso all’economia, alla finanza, allo sviluppo tecnologico, alla politica che devono affrontare un presente e un futuro prossimo che si annunciano pesantissimi per le popolazioni – sarebbe folle insipienza. Appare sempre più evidente che ci troviamo dinanzi a una svolta che coinvolge l’intero sistema che ora si esprime

in termini di chiusura di uno spazio terrestre – senza cielo – globo esteso in maniera indefinita ma chiuso in se stesso e sottomesso alla dominazione sistematica della civiltà tecnologica e mediatica dell’occidente e alla violenza esercitata dal neoliberismo economico”

da un lato, mentre si sviluppa dall’altro la coscienza

della unicità del nostro globo terrestre, e con tanta maggiore chiarezza date le minacce di ogni tipo che pesano sulla sua sopravvivenza”2.

Mi è capitato di sentir descrivere la situazione attuale come un tunnel dove si fatica a intravedere la luce che dovrebbe apparire sullo sfondo. Un’immagine che ridesta nella memoria un passo enigmatico del profeta Isaia (21,11-12):

Mi gridano da Seir:
«Sentinella quanto resta della notte?
Sentinella quanto resta della notte?»
La sentinella risponde:
«Viene il mattino, e poi anche la notte;
se volete domandare, domandate.
Convertitevi, venite».

 

Probabilmente si riferisce al tempo lontano della dominazione degli Assiri, ma nel 1994 Giuseppe Dossetti ha utilizzato questo testo per riflettere sulla situazione italiana in ambito civile e pure ecclesiale. Il tema era la notte e l’occasione era il ricordo di G. Lazzati. Era il tempo di Berlusconi presidente del consiglio. E diceva: la notte va riconosciuta come notte, assumendo l’anima della sentinella, tesa verso l’aurora. Indicava diversi sintomi rivelativi della notte.

Segnalo l’ultimo:

Al vuoto ideale e conseguentemente etico si tenta dai più di compensare con la ricerca spasmodica di ricchezza: per molti al di là di ogni effettivo bisogno vitale, elevata scopo di se stessa…Così all’inappetenza diffusa dei valori…corrispondono appetiti crescenti di cose che sempre più lo materializzano e lo cosificano rendendolo schiavo”.

Ne deriva la notte della comunità:

In questa solitudine, che ciascuno regala a se stesso, si perde il senso del con-essere… e la comunità è fratturata sotto il martello che la sbriciola in componenti sempre più piccole (da qui la progressione localistica) sino alla riduzione al singolo individuo”3.

Il rapporto con gli altri si qualifica in termini contrattuali con l’eclisse del bene comune e con l’interiorizzazione della cultura del profitto che però si concentra nelle mani di pochi. Penso che questo messaggio non abbia perso nulla della sua attualità. Possiamo utilizzare questa lente per comprendere, visto il dramma nel quale siamo immersi, che cosa è successo negli ultimi decenni al servizio sanitario nazionale e in maniera negativamente esemplare in Lombardia.

Dossetti si indirizzava poi al mondo cristiano italiano, allora sotto l’egemonia del card. Ruini, invitandolo a “ripensare alle cause più profonde della notte…come realtà intrinseche alla nostra cristianità italiana”. Ad essa attribuiva “un peccato, una colpevolezza collettiva… che non è stata mai ammessa e deplorata nella misura dovuta e per questo ad essa rivolgeva l’oracolo della sentinella: “Convertitevi” che significa per sé ritornare…ma anche il rivolgersi a Dio, cioè la conversione” 4. Va sottolineato che “Convertitevi” Dossetti non lo rivolge al mondo laico o anticlericale ma in generale proprio al mondo cristiano. E nota:

L’oracolo del profeta non vuole alimentare facili illusioni di immediato cambiamento, e anzi invita a insistere, a ridomandare, chiedere ancora alla sentinella senza però lasciare intravedere prossimi rimedi”5.

A distanza di quasi 40 anni credo che possiamo riprendere, in termini planetari, con la serietà e lo sforzo interpretativo di Dossetti, le parole di Isaia pronunciate attraverso la sentinella. Essa rappresenta una funzione permanente, da esercitarsi in tutte le generazioni. Penso che dobbiamo assumere la nostra notte nella quale oggi stiamo vivendo, con la coscienza che riguarda il mondo intero, e lo stesso cristianesimo. Gli accenti da lui posti conservano, a mio parere, una loro attualità, ma in un panorama che si è allargato e con l’urgenza che si fatta più pressante.

Dossetti cita un altro testo biblico, il salmo 130,6 nel quale si parla della sentinella e dell’aurora:

L’anima mia è verso il Signore,
più che la sentinella verso l’aurora,
più che la sentinella verso l’aurora”.

Ora si affaccia un secondo aspetto che mi sembra utile condividere. La notte che attraversiamo ci porta a desiderare una uscita, un dopo, un’aurora appunto. E qui è molto facile entrare nel mondo delle illusioni. Facciamo l’esempio delle aurore boreali o polari. Le immagini che possiamo vedere anche in internet ci presentano la meraviglia di scie luminose, una grande varietà di forme che mutano velocemente e con colori che vanno dal giallo verdognolo al rosso sino al blu. Una meraviglia, ma che non ha nulla a che fare con la luce del sole che fa nascere il giorno nell’aurora che apre davvero la nostra giornata.

Fuori metafora, la notte che stiamo attraversando, a livello planetario, non è affrontabile con delle illusioni o inseguendo messaggi rassicuranti e consolatori, cangianti come le luci fatue delle aurore polari. La notte va riconosciuta come notte, ma può, deve, essere l’occasione per imparare a stare al mondo in maniera nuova.

Inoltre, un messaggio vero ci è veicolato dalle eruzioni aurorali: la dipendenza totale del nostro pianeta dal vecchio sole che è una stella attiva che viene a trovarci anche con il suo vento solare che in 50 ore può arrivare sino a noi, espulso da quelle che noi chiamiamo le macchie solari. Le aurore sono belle ma ci ricordano la fragilità anche dei nostri avanzatissimi sistemi tecnologici e di telecomunicazione che possono essere mandati in tilt da queste energie solari che arrivano sino a noi a una velocità pazzesca.

Un balzo di coscienza del nostro stare al mondo si impone a livello planetario che ponga al centro il bene comune della vita nostra e delle generazioni future e quindi i beni comuni del pianeta terra necessari al sostentamento, ma che vanno rispettati e custoditi, in contrasto con il loro accaparramento privatistico che di fatto sta producendo la destabilizzazione del nostro habitat, promettendo una notte che non finirà mai. Mi è appena pervenuto il fascicolo di Adista documenti n. 43/2000 il cui editoriale di Claudia Fanti porta questo titolo: “L’ignoranza e la follia dell’homo sapiens. E il tempo sta scadendo”.

Si apre con queste parole:

Il massacro di visoni da allevamento in Danimarca – 17 milioni di capi abbattuti in quanto portatori di una variante mutante del Covid 19 (probabilmente contagiati da operai e/o allevatori positivi al virus) – è una fotografia particolarmente efficace della crudeltà a tutti i livelli, dell’incontrollabile follia del nostro modello di civiltà. Che la pandemia da Covid-19 e più in generale la nostra crescente vulnerabilità ai virus abbia molto a che vedere con l’accelerata distruzione degli ecosistemi planetari è stato comunque evidenziato a più riprese e da più parti in questi mesi. L’aumento della deforestazione, l’urbanizzazione, l’inquinamento, gli allevamenti intensivi, stravolgendo gli habitat di tante specie vegetali e animali, hanno modificato il funzionamento degli ecosistemi, favorendo una maggiore, e pericolosa, connettività tra le specie”.

Penso che i documenti maggiori di papa Francesco – a cui va riconosciuta la funzione di sentinella – indichino in maniera chiara la direzione verso cui orientarsi. Con la Laudato Si’ offre un contributo considerevole all’umanità tutta circa il futuro del pianeta per uscire dalla “spirale di autodistruzione in cui stiamo affondando” contrastando il fatalismo e la rassegnazione.

La speranza ci invita a riconoscere che c’è sempre una via di uscita, che possiamo sempre cambiare rotta, che possiamo sempre fare qualcosa per risolvere i problemi”, avendo la consapevolezza che “il degrado ambientale e il degrado umano et etico sono strettamente connessi”.

La recente enciclica Fratelli tutti si apre con la parola di Francesco d’Assisi e ci indica una fraternità ampia, inclusiva, inter-culturale e inter-religiosa, attraversata da uno sguardo rivolto agli ultimi, ai più poveri e fragili. Si chiude dando un esempio importante di dialogo riportando parte del documento sulla fratellanza umana condiviso con il grande Iman Ahmad Al-Tayyeb e con la preghiera al Creatore e padre dell’umanità6.

L’Evangelii gaudium pone la parola dell’Evangelo al centro della chiesa. Il servizio essenziale che essa può e deve rendere al mondo è la permanente conversione alla sua parola viva in modo tale che ne derivi uno stile capace di informare tutti gli ambiti e livelli che la costituiscono, compiendo un’opera di discernimento per intercettare l’essenziale su cui convergere. Quattro anni fa al nostro convegno annuale Serena Noceti osava un accostamento tra la nostra situazione ecclesiale e quanto è avvenuto per l’ebraismo dinanzi alla distruzione subita ad opera dell’esercito romano:

Un po’ come al sorgere dell’ebraismo rabbinico, quando Jochanan Ben Zakkaj intuisce che c’è qualcosa da salvare e qualcos’altro che deve essere lasciato. Di fronte all’imminente fine del modello sacrale del Tempio, ripensa l’identità ebraica, provando a salvaguardarne il nucleo costitutivo. Prende, dunque, il rotolo della Torà e si finge morto, così da poter uscire dalla città assediata. Una volta uscito, a Javne, costituisce una scuola accademica, in cui prenderà nuova forma l’esperienza di Israele. Salvare la Torà, per il nostro discorso, significa salvare il principio costitutivo dell’esperienza ecclesiale, ovvero il Vangelo, distinto dall’apparato del sacro”7.

E poi continua citando P. De Benedetti dal quale ha colto questa connessione:

Ai cristiani non è accaduto di dover compiere un mutamento così radicale come quello toccato all’ebraismo, per rimanere se stessi; ma non si può dire che non sarebbe stato, non sia ugualmente necessario. Infatti il grande tempio della cristianità tradizionale è già profondamente intaccato dal fuoco, e sono venuti meno i riti che vi si compivano per dare al mondo intero una buona coscienza…Occorre porsi dietro alla Parola di Dio come i magi dietro la stella, e seguirla là dove, uscendo dal tempio rovinante della cristianità, andrà a posarsi (…) Ma c’è una differenza, tra l’andar dietro a questa stella e la provvidenziale fuga a Javne di rabbi Jochanan: che allora bastò la fuga di un uomo a salvare l’ebraismo, oggi ogni cristiano è personalmente impegnato a uscire dal vecchio tempio e seguire la stella destinata a condurre proprio lui. Solo così, alla fine, tutta la chiesa di Dio si troverà in salvo, in questo mondo profano ma così caro a Dio”8.

Anche oggi la sentinella, in questa notte, dice: convertitevi.

***

Il quaderno è costituito da tre sezioni: nella prima sono offerti diversi contributi che toccano aspetti importanti di questo nostro tempo dominato dal Coronavirus. La seconda è nata da una domanda posta da uno di noi nel nostro primo incontro in videoconferenza: silenzio di Dio? La terza sezione è dedicata a quattro nostri amici con i quali abbiamo condiviso scelte di vita ispirate al Vangelo e che nello scorso anno hanno chiuso i loro giorni.

Roberto Fiorini


 

1 “La continua accelerazione dei cambiamenti dell’umanità e del pianeta si unisce oggi all’intensificazione dei ritmi di vita e di lavoro, in quella che in spagnolo alcuni chiamano «rapidaciòn» (rapidizzazione). Benché il cambiamento faccia parte della dinamica dei sistemi complessi, la velocità che le azioni umane gli impongono oggi contrasta con la naturale lentezza dell’evoluzione biologica” (Laudato sì, 18). E, possiamo aggiungere delle capacità di reazione rapida da parte dei sistemi sanitari, anche i più avanzati.

2 C. TEOBALD, La Rivelazione, E.D.B. Bologna 2006, 160

3 G. DOSSETTI, La parola e il silenzio. Discorsi e scritti 1986-1995, Il MulinoBologna 1997. 302.

4 Ivi, 307.

5 Ivi, 305.

6 Creatore, Signore e Padre dell’umanità, che hai creato tutti gli esseri umani con la stessa dignità, infondi nei nostri cuori uno spirito fraterno. Ispiraci il sogno di un nuovo incontro, di dialogo, di giustizia e di pace. Stimolaci a creare società più sane e un mondo più degno, senza fame, senza povertà, senza violenza, senza guerre. Il nostro cuore si apra a tutti i popoli e le nazioni della terra, per riconoscere il bene e la bellezza che hai seminato in ciascuno di essi, per stringere legami di unità, di progetti comuni, di speranze condivise. Amen.

7 S. Noceti, Cambia la figura della chiesa? In Pretioperai 113-114, p. 22.

8 Ivi, p.21-22.


 

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