Condizioni di lavoro


 


Lavorare in catena in una media azienda

 

Io lavoro in catena da 11 anni.
In una fabbrica di 70 dipendenti.
I vecchi mi dicevano che “alla catena ci si abitua”.
lo non mi ci sono ancora abituato.
La catena non ha niente di umano.
La si può solo subire. Non ci si può mai abituare.
Certo, si preferisce non parlarne.
Non ne parlano tra loro coloro che la subiscono.
Non se ne parla fuori.
E’ come una brutta malattia che è convenzione sociale tacere.
Perché, tanto, non c’è rimedio. Chi ce l’ha se la deve tenere.

Sulla mia catena siamo dai 2 ai 4 addetti, secondo le lavorazioni. Montiamo delle valvole per condutture di gas o per usi enologici.
Sul blocco si avvita il premi-maschio e il controdado, si regolano e si aggiunge il cappuccio o la farfalla.
A me tocca stare con due chiavi in mano e nel mezzo metro in cui mi scorre davanti il pezzo, devo stringere il premi-maschio, il controdado e verificare che il perno non risulti bloccato. Se stringo troppo, il pezzo esce di produzione.

Il padrone vuole 400 pezzi all’ora. Esatti.
Perché se il blocco oppure dadi, cappucci e farfalle sono difettosi, lo sforzo viene quadruplicato, ma la produzione viene ugualmente esigita.
Non ce la facevamo più… addirittura ci siamo accorti che ci nascondevano il numero reale dei pezzi eseguiti proibendoci anche di controllarli.
E dietro alle spalle c’era il capo che continuava ad incitarci a muoverci.
Per andare ai servizi lo si chiedeva al capo, che veniva quando voleva lui: e non più di una volta al mattino e una al pomeriggio.
Ho visto uomini di 50 anni piangere.

Con alcuni sono riuscito ad avanzare delle richieste per capire il perché di ritmi così insopportabili.
Ci è arrivata una lettera che ci rimproverava di essere “scarsamente produttivi” e quindi “di danno all’azienda”.
Si sparse il terrore. Non ci rimase che il ricorso alle vie legali. Ricordo che il pretore stupito ci disse: “. . . ma io credevo 400 pezzi al giorno”. Abbiamo ottenuto il “Jolly” e il contatore numerico sulla catena.

Abbiamo avuto anche noi le “innovazioni tecnologiche”: la vecchia catena rimane sempre, però ad essa ne hanno aggiunta una semi-automatica. I pezzi, invece di scorrere, girano su una piastra circolare. La macchina svolge quasi tutte le operazioni, però alla regolazione è rimasto l’uomo. Tre postazioni di lavoro sono saltate: a quello rimasto adesso chiedono… 800 pezzi all’ora.

Tra una avvitata e l’altra avevo imparato, un boccone alla volta, a mangiarmi una mela.
Era proibito. E mi fu detto.
Risposi che lo esigeva la mia salute.
“Se è questione di salute, occorre il certificato medico!”
Ho chiesto di uscire perché avevo urgente bisogno di recarmi dal mio medico. Sono tornato con un certificato che mi autorizzava a mangiare 10 mele al giorno. Adesso giace nel mio dossier di sovversivo.

L’ultima nostra vittoria fu quella di avere, dopo tanti anni di insistenza, …la carta igienica nei cessi.
Abbiamo dovuto dimostrare al padrone, con due mesi di prova, che “avremmo saputo usarla bene” e che “nessuno l’avrebbe rubata”.

Quando esci dal lavoro, hai il cervello ritmato dalla catena.
Te la sogni anche di notte.
Le mani ripetono per conto loro l’operazione fatta 3.200 volte al giorno, tutti i giorni.
Ti porti dietro la speranza che capiti qualcosa che faccia finire tutto questo, e ogni giorno ti ritrovi lì a ricominciare.
Inchiodato al tuo metro quadrato di terra.
Fuori senti parlare di tutt’altro.
E ti prende la vergogna di parlare dei tuoi ritmi, delle tue mele, della tua carta igienica…
E ti vien voglia di tacere.
Di tenerti dentro la tua rabbia.
Di non sapere più da chi andare a chiedere… “se questo è un uomo”!

Gianni Belotti


 

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