IN QUESTO MONDO A RISCHIO
QUALE CHIESA?
Bergamo / 13 giugno 2015
Contributi
Parto dall’importanza oggi di dare spazio ai segni positivi del Regno, che segnalano l’opera del Padre, nella costruzione del suo Regno e che ora è diventato compito nostro in qualsiasi parte del mondo ci troviamo.
Ci sono dei criteri che ci riportano al Vangelo, e all’incontro semplice e immediato con la Parola di Gesù, che diviene fonte di energia, di coraggio, di preghiera, di ricarica spirituale e interiore per continuare a crescere nell’incontro personale e comunitario con lui e a dare alla nostra vita un’intensità e un senso, nel terreno liquido della storia che stiamo vivendo.
Mercoledì 13 Maggio 2015 abbiamo fatto a San Donà l’ultimo incontro mensile di un anno di formazione, che da circa 40 anni fondiamo sulla Lettura immediata del Vangelo, commentato con i fatti e le richieste che vengono dal nostro vissuto, di preti e laici, che in questo modo motivano il loro impegno con gli immigrati, con i poveri della cittadina, con le situazioni difficili, con il lavoro di Patronato, con l’aiuto alle badanti, con il tentativo di sensibilizzare le comunità Parrocchiali ai temi e alle sofferenze della crisi tra i lavoratori, del sostegno al sindacato perché resti accanto a chi lavora senza troppa burocrazia.
Non è male fermarci, interrogarci, riflettere sul senso ultimo e sul perché di un impegno di condivisione con tante persone. Quello che è emerso da loro, da questi cristiani laici che si fanno adulti, superando il rischio del dare per scontato il modo e il senso dell’essere cristiani e della carità attualizzata, è stato per me uno dei “segni dei tempi”, anche per la mia vita di 48 anni di sacerdozio.
Dicevano: abbiamo scoperto che non ha senso un cristianesimo triste, pensato e fatto di precetti, di organizzazione, di canoni precisi, di moralismo e liturgismo, di frasi fatte e sbandierate come difesa, per non crescere più, per non cercare più di apprendere e di far propria la lezione che ci viene dall’incontro con altri credenti e altre persone religiose e di “buona volontà”. Abbiamo, in tutti questi anni di incontro vivo con la persona di Cristo, che ci parla e ci sostiene, che non ha senso un cristianesimo di struttura, di facciata, di ottemperanza a leggi e precetti, ci offre l’opportunità della sua amicizia della sua forza, per non vivere superficialmente e fuori del contesto storico e vitale delle persone, specialmente dei più poveri. Abbiamo incontrato un cristianesimo di sostanza, gioioso, e per questo positivo e vitale, capace di dare motivi nuovi di impegno e solidarietà con l’umanità; e quindi un cristianesimo di dialogo e di confronto, che accetta di misurarsi con le diversità e le situazioni più disparate, con il senso dell’attesa del Regno (“essere vigilanti!”) e della presa di coscienza che ora siamo noi i piedi e le mani di Cristo, che raggiungono i suoi poveri e i suoi “invitati al banchetto del Regno”.
Anche i preti, dicevamo, hanno bisogno di lasciar perdere le tante, troppe scadenze sacramentali e burocratiche (professionalizzazione dei preti, divenuti tutti preti-operai garantiti e stipendiati), per non disumanizzarsi, per non perdere il senso della comune umanità e della storia di ogni giorno, che va facendosi, che ci accomuna.
Insieme ci siamo permessi di consigliare che ogni comunità parrocchiale abbia la sua piccola comunità animatrice stimolo, un gruppo (essenziale rispetto agli altri) che si misura continuamente con il Vangelo (gruppi del Vangelo), fatto dagli uomini e dalle donne, che poi operano nei diversi settori della pastorale (unico momento vincolante per ricaricarsi di senso). Ci siamo anche presi l’ardire di consigliare di non parlare troppo di “integrazione” per quanto riguarda gli immigrati o i credenti diversi, ma di pensare alto e avere coscienza che il futuro non lo programmiamo noi con i nostri criteri, ma forse sarà diverso anche da come lo pensa attualmente la chiesa, perché sarà costruito nella prospettiva dell’”armonia delle diversità”, nel lavoro condotto insieme, superando il pericolo oggi, di una chiesa che “vive a sé”, che si auto-giustifica e dimentica di essere “popolo di Dio”, e solo uno degli elementi positivi del Regno, che è Cristo a costruire.
Giancarlo Ruffato