Ci scrivono (2)
A seguito del colloquio del dicembre 2015 a St. Denis, è stata programmata nel settembre 2016 una giornata di riflessione con tutta la “Mission Ouvrière”.
Per prepararla i preti operai hanno incontrato Christophe Théobald con questo testo sul SACERDOZIO E MINISTERO che essi hanno elaborato.
Preti e operai, noi partecipiamo al sacerdozio del “popolo di Dio” attraverso il nostro battesimo.
Per scelta e chiamata noi siamo impegnati nel “ministero dei preti-operai”.
E’ un ministero eminentemente simbolico
Nel corso della sua storia la Chiesa si è sforzata di rispondere alle sfide interne ed esterne. Nello stesso tempo essa ha tentato di costruire e di preservare l’istituzione per avere un posto visibile e influente in seno alla società.
In questo movimento:
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Essa ha costruito una Chiesa sul modello di una società molto gerarchizzata
e autoritaria con un diritto proprio, con le sue regole, i suoi tribunali, i suoi organismi rappresentativi presso gli Stati, le sue strutture di funzionamento e rinnovamento, i suoi riti e costumi etc. … In questa istituzione lungo gli anni, il sacerdozio è diventato un affare dei chierici che hanno concentrato sulle loro persone e spesso i loro ranghi, potere, sapere e autorità.
Il Vaticano II ha felicemente aperto altre prospettive … -
Essa ha accantonato il prete chiuso nel ruolo di “uomo del” sacro.
Preti operai, per il nostro stile di vita (casa, salario, lavoro …) e il nostro impegno (associazioni, sindacato, politica) stiamo a significare che il quotidiano è il luogo del sacro. -
Ha costituito una rottura radicale tra il materiale e lo spirituale,
tra il laico e il “prete”, tra il sacro e il profano.
Come preti operai vogliamo testimoniare che la materia che noi trasportiamo quotidianamente e trasformiamo (pulizie comprese!) ha una dimensione “spirituale”. Essa è “opera delle tue mani” … Per il nostro stile di vita e impegno stiamo a significare che l’uomo e il suo ambiente, il suo fare e il suo essere, formano un tutto indissociabile … -
Ha fatto del prete “l’uomo dell’eucarestia”.
Però l’eucarestia è proprio della “comunità riunita” che proclama la vita, la morte, la resurrezione del Cristo “ facendo ciò in memoria di lui”. Nessuno, qualunque sia il suo ruolo, può accaparrarsi del “sacramento” dell’eucarestia che è “necessariamente “proprietà” comunitaria, segno di una Chiesa riunita per le basi della sua fede … L’eucarestia è, tra altre dimensioni simboliche, l’espressione della cattolicità della Chiesa. Ogni prete attorno alla mensa “rappresenta una comunità umana che vive la sua fede in maniera particolare ma condividendo insieme a tutte le altre comunità le stesse fondamenta della fede … Gesù Cristo, uomo, è pienamente Dio. Egli è morto e risuscitato. Egli ci chiama alla conversione per accoglierlo nella venuta del suo Regno. La comunità umana del P.O. è essenzialmente una comunità che non si dice riunita per Gesù Cristo e che non si riconosce nella proclamazione dei fondamenti della fede cristiana. Attorno alla tavola eucaristica (come nella comunità dei credenti), il prete operaio è tra quelli che rappresenta il popolo che non è là, il popolo verso il quale la Chiesa e ogni credente è inviato, il popolo assente che dà ragion d’essere alla comunità ecclesiale poiché essa è là per rispondere all’invito del Signore ”Andate, portate l’annuncio a tutte le nazioni …” -
Essa ha regolarmente e spesso proposto la sola dimensione della “salvezza” individuale.
Nella loro storia, nei loro impegni i P.O. hanno inserito la loro azione e la loro visione di società nella dinamica del movimento operaio. La loro percezione di un “mondo salvato” è necessariamente collettiva … E’ l’umanità “la moltitudine” che diventa l’oggetto del “sangue di Gesù versato, della salvezza di Dio”. In questo i loro impegni diventano richiami simbolici di questo cammino collettivo verso una Terra nuova, un Popolo nuovo. L’impegno dei P.O. è un appello che non ha nulla di “salvezza” se non la presa in carico del loro prossimo, dei loro fratelli, facendoli uguali per, insieme, umanizzarsi, divenire sempre più, insieme, “immagine di Dio”.
Troppo spesso oggi la nostra Chiesa sembra andare verso un discorso dell’ “apparenza” che è senza dubbio una della caratteristiche della nostra società. Il mondo degli operai sarebbe scomparso in modo massiccio perché meno visibile, le organizzazioni o i collettivi degli operai saranno sempre più inadatti alla modernità; le priorità saranno ristrette al territorio parrocchiale e a manifestazioni di visibilità.
Il lavoro è spesso e giustamente descritto come parte dell’espressione di sé, di un saper fare individuale e collettivo. E’ lo stesso per il Vaticano II, “cooperazione al compimento della creazione divina”. Ma il lavoro è anche una realtà più esistenziale e spesso sottovalutata: quello che i salariati vivono nei luoghi di lavoro, quello che devono subire per avere un lavoro e conservare le condizioni e i modi di lavorare, le organizzazioni messe in cantiere, tutto ciò plasma gli spiriti e i cuori, genera dei modi di pensare e dei comportamenti che si riproducono in tutti i luoghi di vita dei salariati. Per i preti operai condividere senza ritorno le condizioni dei lavoratori è un andare là dove si formano le coscienze. Certamente la realtà del lavoro nelle sue condizioni come nella sua organizzazione e rappresentazione si è costantemente evoluta lungo gli anni. Lungo queste evoluzioni i preti operai non hanno mutato la scelta del loro inserimento: essi si sono impegnati negli impieghi più ordinari e spesso più faticosi condividendo in ciò le condizioni di vita e di lavoro della gente più umile e sfruttata del momento. Ieri nei grandi cantieri e nelle grosse imprese di mano d’opera, oggi nelle pulizie o negli impieghi più precari, i più “invisibili”, partecipando alle lotte di coloro che hanno meno diritti ma soprattutto impegnati e attivi nelle dinamiche e ricerche del movimento operaio.
Per questo i preti operai dimostrano la loro credibilità nel loro inserimento nel lavoro perché hanno la preoccupazione di ciò che diventano gli uomini, di ciò che costruisce o schiaccia il popolo di Dio, perché sono essi stessi trasformati dal lavoro nella loro umanità e fede. E’ normale che la questione del lavoro sia all’ordine del giorno di tutta una ricerca che vuole approfondire ciò che implica il ministero dei preti operai e soprattutto dove deve portare lo sforzo essenziale della missione della Chiesa. Abbandonare il campo dell’impresa, dei luoghi di lavoro, del diritto al lavoro sarebbe lasciare agli altri e specialmente alle forze antievangeliche del denaro e della competitività, il campo libero per costruire coscienze e pratiche di vita che si riverseranno nei quartieri, nelle famiglie come in tutta la vita sociale … Buona parte dei preti operai hanno delle responsabilità parrocchiali e di cappellani. Rimane chiaro che queste non costituiscono lo specifico del “ministero di preti operai”. E’ attorno alla dimensione simbolica di questo ministero che noi possiamo trovargli la sua specificità come nelle pratiche brancolanti dei suoi collettivi.
L’istituzione Chiesa ha spesso fatto del prete un uomo solitario nelle sue responsabilità e poteri, dovendo rendere conto solo al vescovo, che a sua volta rende conto al “sovrano pontefice”. Il Vaticano II ha messo all’ordine del giorno la dimensione della collegialità. Nella loro pratica e storicamente, i P.O. si sono dimostrati attaccati alla dimensione del gruppo – équipe spesso aperta ad altri credenti per condividere e celebrare. La storia della messa in piazza, difficile e senza dubbio incompiuta di una “Equipe Nationale”, testimonia le tensioni con l’istituzione ecclesiastica.
Il collettivo dei preti operai ha spesso cercato come lavorare al meglio con i movimenti di azione cattolica. Si potrebbe vedere in questa preoccupazione la volontà di far vivere la dimensione sacerdotale di un popolo di Dio ansioso dell’incontro e dell’annuncio della Buona Novella.
Il passo su “luoghi significativi” assunta dall’Equipe National dei preti operai che mira a riunire tutte le forze vive missionarie di un luogo dove il mondo del lavoro era presente in modo massiccio, potrebbe essere visto come un’espressione di questa ricerca, o almeno un tentativo, dal momento che non ha prodotto che poche realizzazioni e che è stata abbandonata.
“Per una chiesa a servizio dell’umanità, tutti responsabili?”
C’è questa questione che era latente nel colloquio di Saint-Denis e che si prolunga per la riflessione che noi proponiamo a tutta la Mission Ouvrière e a tutti coloro che la sosterranno. Un obiettivo e un interrogativo.
Non è proprio di ogni battezzato riconoscersi responsabile e membro di questo sacerdozio del popolo di Dio perché la Buona Novella possa essere capita e celebrata “fino agli estremi confini della terra?” Le intuizioni che fanno nascere e vivere il nostro ministero di prete operaio non sono esse degli elementi costitutivi di questo sacerdozio comune? La Chiesa può essere attraversata da queste intuizioni? Come battezzati e qualunque sia la nostra situazione individuale, a quali trasformazioni, a quali cambiamenti di prassi siamo noi collettivamente chiamati?
Non si tratta di sapere se domani ci saranno ancora dei preti operai o di cercare come reagire alla diminuzione di vocazioni nel nostro paese, ma di domandarsi che tipo di sacerdozio in una Chiesa veramente a servizio dell’umanità.
Nello stesso tempo, perché la Chiesa possa onorare questo servizio all’umanità, di quale ministero ha bisogno? In queste prospettive noi abbiamo bisogno di illuminazione e di cercare insieme.
Queste questioni non sembrano malauguratamente all’ordine del giorno quando noi ascoltiamo “che non si possono mandare dei preti a fare gli operai perché i vescovi non hanno abbastanza preti per far sopravvivere le diocesi”. Questa osservazione mostra come son fatte le scelte, le priorità missionarie o istituzionali, inconsciamente senza dubbio ma concretamente. Con una simile osservazione tutto sembra passare come se la questione di una Chiesa “per chi?”, “perché?” e “come?” fosse risolta. Essa lo è e può esserlo sul piano istituzionale. Non sembra in ogni caso che lo sia sul piano della missione. E allora la questione è questa: “Per una chiesa a servizio dell’umanità, tutti responsabili?”
Bernard Audras
Jan Claud Jojo Favre
Bernard Massera
Pubblicato su Courier PO janvier 2017. Traduzione di Mario Signorelli