Svelare il tempo / dossier




In Africa ci sono 22 milioni di esseri umani sieropositivi condannati a morte. Le case farmaceutiche che hanno brevettato il ciclo di farmaci in grado di ridurre pesantemente i casi di morte lo mettono in vendita al costo di 3 milioni annui. Gli stessi farmaci, prodotti da aziende indiane, thailandesi o brasiliane, vengono a costare solo 300 mila lire.
Contro il Sud Africa che ha deciso di acquistarli da loro sono insorti i colossi farmaceutici che ne detengono il brevetto: con a capo Sir Richard Skyes, presidente della Glaxo, stipendio personale di 500 miliardi di lire. I principali azionisti di queste multinazionali del farmaco sono i fondi pensione inglesi e americani. “Abbiamo una responsabilità sociale: non possiamo rinunciare a produrre utili altrimenti i nostri azionisti (= gli iscritti ai fondi pensione) ci punirebbero. Non possiamo permetterci di perdere dei rendimenti per spirito umanitario”.
Ai lavoratori è chiesto di tapparsi il naso per non sentire l’odore di morte che si portano dietro gli utili che maturano i loro fondi pensione integrativi. Coinvolti nelle speculazioni finanziarie che sono uno dei meccanismi disumani del sistema capitalistico.
(Ultime notizie : le case farmaceutiche, di fronte al clamore sollevato, hanno preferito ritirare la denuncia pagando anche le spese processuali).

Le ultime statistiche del Census Bureau indicano che negli Stati Uniti 12 milioni di famiglie (e 2 milioni di bambini), pur lavorando, sono alla fame. Questi lavoratori sono entrati o sono lentamente scivolati nella catena infernale del lavoro sottopagato e supersfruttato. Svolgono doppi lavori. Lavorano sino a 18 ore al giorno. Ciò nonostante non riescono ad avere un’entrata mensile che possa permetter loro di sopperire alle necessità per la sopravvivenza. Questa cifra di milioni di disperati, in America sta crescendo. Ci sono 42 milioni di persone prive di qualsiasi forma di assistenza sanitaria. Questo è il mitico “boom economico” che ispira i progetti politici dei nostri governanti. E per il quale ci chiedono di fare il tifo.

Una ricerca danese dimostra l’esistenza di un collegamento tra i rischi di insorgenza di tumori al seno e gli orari di lavoro notturni. La causa degli aumenti di tumoralità è la mancanza di melatonina della quale sono stati dimostrati gli effetti inibitori sulla crescita di cellule tumorali. La produzione di melatonina è regolata, attraverso la retina dell’occhio, dai cicli quotidiani di luce e oscurità. La sostanza si forma durante la notte, ma il processo si blocca nelle persone che rimangono sveglie e sono esposte alla luce artificiale. Questo significa che per produrla non basta dormire, ma bisogna dormire durante la notte, osservando l’alternanza naturale di veglia e riposo.
Negli ospedali o le case di cura per assistere gli esseri umani occorre lavorare per tutto l’arco della giornata. Ma oggi il mercato impone il lavoro notturno per “assistere” la competitività della merce. La possibilità per le donne di lavorare la notte è considerata una “conquista” dai sindacati svedesi. E non solo.

Ci sono voluti migliaia di lavoratori uccisi, e migliaia ne moriranno nei prossimi anni, per mettere al bando l’amianto killer: anche se altrove, naturalmente nel terzo mondo, continua ad essere tranquillamente propinato soprattutto ai diseredati. Qui da noi è stato sostituito dalle fibre vetrose (Mmvf). I lavoratori addetti alla produzione di Mmvf nei paesi europei assommano ormai a diverse decine di migliaia, come altrettanto numerosi sono quelli che le utilizzano.
Numerosi studi hanno accertato che le fibre vetrose sono da considerarsi un materiale che ha le stesse caratteristiche dell’amianto. Per questo l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro di Lione classifica i principali tipi di fibre vetrose come “possibile cancerogeno per l’uomo”. Tra poco, e lo sanno, cominceremo a contare i morti per fibre vetrose. Inarrestabile sembra essere la mostruosa macchina che mette il profitto al di sopra della vita dell’uomo.

Sul “prato verde” di Melfi, in un bacino di disperata disoccupazione, la voracità del capitale ha edificato una cattedrale Fiat.
– Dentro ritmi infernali, orari e turni disumani e tanta, tanta paura dominano la vita dei giovani che ci entrano in “formazione lavoro” per 1 milione e mezzo al mese.

“ Dopo i primi dieci minuti siamo lasciati soli con le macchine. L’unica formazione qui è l’apprendistato dell’ubbidienza. Non puoi dir niente: ti aumentano i ritmi, guai se ti ammali, se ti fai male è colpa tua, ti fanno saltare i giorni di riposo …: devi solo stare zitto perché se non ti confermano l’assunzione devi tornare a lavorare in campagna e con quei soldi non ci mangi. Vorremmo scappare tutti ma non possiamo: la scelta è tra una vita da fame e una vita di merda”.

– Fuori ad ogni ora del giorno e della notte è un viavai di pullman: quelli che portano i lavoratori di un turno si incrociano con quelli che riportano quelli di un altro. A villaggi distanti un’ora e mezzo o due. La vita sociale dei paesi è stata distrutta: sul territorio incombe il respiro produttivo imposto dalla fabbrica

 

“Il disoccupato che rifiuterà un’offerta di lavoro a tempo pieno e indeterminato, o determinato, o di lavoro temporaneo superiore almeno a tre mesi e con sede lavorativa nel raggio di 100 chilometri dal suo domicilio perderà l’anzianità nello stato di disoccupazione e decadrà dai trattamenti previdenziali di cui eventualmente gode” (Decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri del 25 febbraio 2000).

Indro Montanelli è entusiasta della proposta di Blair di abolire l’età pensionabile. “È una vera rivoluzione ma qui in Italia non passerà perché siamo un paese di imbecilli e gli imbecilli non hanno il gusto del loro lavoro, non aspirano altro che alla pensione”.

Don Antonio Mazzi ha ridicolizzato sulla stampa gli “ invertebrati” lavoratori che, a differenza dei suoi volontari che non conoscono orari, “ rischiano di rompersi losso del collo” per correre a timbrare il cartellino e fuggire dal posto di lavoro.
Parassiti mantenuti e privilegiati fruitori di un “lavoro che li nobilita”, guardano e sputano dall’alto su coloro per i quali è solo fatica, sfruttamento e catena.

 

Da anni, da destra e da sinistra, la flessibilità viene propagandata come un connotato della modernità contro la vecchia mentalità operaia del posto di lavoro fisso. Coloro che, col culo al caldo, ci fanno questi discorsi fanno finta di non sapere che la continua insicurezza del posto di lavoro mina alla radice sia la possibilità di difendere la propria dignità e i propri diritti sul lavoro sia quella di permettersi una umana e decente progettazione della propria vita individuale e famigliare. La diffusione della precarietà lavorativa totale è la forma attualmente più violenta con cui si svela la necessità del capitale di ridurre i lavoratori a merce: da utilizzare e di cui disfarsi a piacere. E imporre l’oppressione di classe su tutta la loro vita.

Flessibilità significa dunque non la duttilità di un’astrazione come il mercato del lavoro, bensì l’obbligo di persone reali a flettersi fisicamente e psichicamente alle esigenze combinate – a scalare – della competizione globale, dei cicli economici nazionali e della congiuntura della loro azienda. 

Sandro Artioli



Non siamo la realtà ma appena un suo riflesso.
Non siamo la luce ma appena un raggio.
Non siamo il cammino ma appena qualche passo.
Non siamo la guida ma appena una delle tante direzioni che al domani conducono.
Non siamo coloro che aspirano a impossessarsi del potere e da lì imporre il passo e la parola. Non lo saremo.
Non siamo coloro che mettono un prezzo alla propria o altrui dignità e convertono la lotta in mercato, dove la politica è faccenda di mercanti che si contendono non progetti ma clienti. Non lo saremo.
Non siamo coloro che aspettano il perdono e l’elemosina di chi simula aiuto quando in realtà compra e non perdona ma umilia chi, per il solo fatto di esistere, è sfida e rivendicazione e domanda e esigenza. Non lo saremo.
Non siamo coloro che, ingenui, aspettano che dall’alto venga la giustizia che solo dal basso cresce, la libertà che si ottiene solo con tutti, la democrazia che è combattuta su tutti i piani e per sempre. Non lo saremo.
Non siamo la moda passeggera che, passata, si archivia nel calendario delle sconfitte che questo paese ostenta con nostalgia. Non lo saremo.
Non siamo lo scaltro calcolo che finge la parola ed in essa nasconde un nuovo inganno, non siamo la pace simulata che anela la guerra eterna, non siamo chi dice “tre” e poi “due” o “quattro” o “tutto” o “niente”. Non lo saremo.
Non siamo il pentito di domani, colui che si converte in immagine ancora più grottesca del potere, colui che simula “buon senso” e “prudenza” dove non ci fu che compravendita. Non lo saremo.

Marcos


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