Editoriale
Quarant’anni fa veniva pubblicato in Italia un libro di Paul Tillich, teologo luterano emigrato negli Stati Uniti nel 1933 per manifestare una protesta politica contro il nazismo. L’originale in inglese aveva visto la luce in America nel 1948 con il titolo “The shaking of the fundations”: “Si scuotono le fondamenta”, una citazione presa dalla “grande apocalisse di Isaia”. Si era nell’immediato dopoguerra; erano impressi negli occhi e nella mente le grandi devastazioni avvenute, ma era ancora in pieno sviluppo la corsa agli armamenti, tesi verso una tecnologia sempre più avanzata e con potenziale distruttivo al di là di ogni immaginazione.
Le parole del profeta sono tremende: “Le fondamenta della terra tremano. La terra si schianta tutta, la terra si disfa tutta, la terra trema tutta, la terra vacilla come un ubriaco, la terra dondola come un’amaca; sotto il peso del suo delitto la terra cade per non rialzarsi più” (Is 24,19-20).
“Nel linguaggio dei profeti è il Signore che scrolla le montagne e liquefa le rocce. Questo è il linguaggio che l’uomo moderno non può capire. E così Dio… ha parlato agli uomini del nostro tempo per bocca dei nostri più grandi scienziati, e questo è ciò che ha detto: «Voi stessi potete essere la causa della vostra fine. Io rimetto nelle vostre mani il potere di scrollare le fondamenta della vostra terra. Voi potete usare questo potere per creare o distruggere. Come lo userete?» (Paul Tillich, Si scuotono le fondamenta, Ubaldini, Roma 1970, 23).
L’autore afferma questa profezia laica. Dio, infatti “non è vincolato a nessun linguaggio particolare, nemmeno a quello dei profeti”, essa avviene dentro la lunga storia umana.
E, però, la stessa antica parola: quella che troviamo nel Deuteronomio: “Vedi, io pongo dinanzi a te il bene e la vita, la morte e il male… Scegli dunque la vita perché viva tu e la tua discendenza” (Dt 30, 15.19).
Analogo messaggio troviamo espresso in Fabio Salviato, Ho sognato una banca, (Feltrinelli Milano 2010, 228-230): “A rileggere con calma il documento dei servizi di intelligence americani (Il rapporto Mapping the global future del National Intelligence Council) vengono i brividi, perché il messaggio che se ne può ricavare è molto chiaro: l’umanità sta correndo come una locomotiva impazzita verso l’autodistruzione. Quello che è ancora più grave è che abbiamo gli strumenti per misurare con largo anticipo le dimensioni della catastrofe futura, ma dormiamo ancora sonni tranquilli e continuiamo come se nulla fosse… Ci troviamo di fronte a un bivio, cruciale per il futuro dell’umanità e abbiamo sempre meno tempo per pensare. Dobbiamo agire”.
Questa breve introduzione ci è stata suggerita da un’immagine, già richiamata in passato, di uno dei maggiori finanzieri del mondo — Warren Buffet — che ebbe a definire i derivati: “gli equivalenti finanziari delle armi di distruzione di massa”. Una conferma l’ho trovata anche in un altro autore: “Le recessioni, quando sono gravi e prolungate, sono devastanti quanto le guerre” (Rampini). Il principio che “il denaro deve produrre denaro” e la totale deregulation nel perseguimento di questo obiettivo, significa di fatto che ci troviamo immersi in una sistematica e permanente guerra finanziaria, della quale siamo in gran parte all’oscuro, con effetti devastanti che possono colpire ad ogni latitudine del globo. Non è quello che sta avvenendo anche da noi? Su questo tenteremo qualche riflessione sulla base di alcune letture che ci hanno aiutato a pensare.
Il danno e le beffe
Mentre scriviamo, gli stati europei stanno allestendo il salasso che colpirà salari, pensioni e sanità. È la ricetta classica che il Fondo Monetario ha sempre imposto ai paesi in via di sviluppo. Ora che si è reinserito negli affari economici europei, non viene meno alla sua impostazione con l’attiva partecipazione di Obama. “La crisi preme e il Welfare paga” è il titolo di La Repubblica. Affari e Finanza del 17 maggio. Nessuno dei paesi di Eurolandia potrà sottrarsi. E intanto, si nota in uno degli articoli, “colpisce che in nessuno dei paesi che hanno annunciato o deciso tagli sia stato previsto qualche provvedimento a carico dei patrimoni, delle rendite”. Se ne sta parlando, ma niente di concreto sino ad ora. In tutti i casi, e questo è certo “il welfare non sfuggirà al suo destino” (M. Panara).
Sui sacrifici chiesti alle classi meno abbienti Gallino fa notare che “nell’arco degli ultimi 25 anni nei paesi dell’Ocse tra l’8 e 12 punti di Pil si sono spostati dal lavoro alla rendita”. Inoltre la quota dei lavoratori poveri, ovvero di coloro che hanno una attività ma il cui salario è inferiore ai due terzi del reddito medio è del 27 per cento negli Stati Uniti, del 23 per cento in Germania, del 18 per cento in Olanda. “Se anche nei paesi più ricchi abbiamo un quarto della popolazione che lavora ed è povera, pensare di strizzarla ancora comporta un rischio serio di instabilità sociale”. Stiamo parlando di quelli che ancora un lavoro ce l’hanno, ma sappiamo benissimo che il numero dei disoccupati è aumentato ed è destinato a salire ancora. La prospettiva cui si va incontro, anche in occidente, è l’ampliamento della fascia di popolazione destinata a quella povertà che morde la carne con l’estendersi dell’insicurezza provocata dall’ulteriore alleggerimento del welfare.
Quelli che venivano un tempo definiti “diritti acquisiti” traballano. In Francia il primo ministro ha annunciato che in tre anni la spesa per l’assistenza subirà una riduzione del 10%. Non pare proprio che noi ce la passiamo meglio della Francia.
Ai danni, però, si aggiungono anche le beffe. È la storia delle banche salvate con i soldi dei cittadini, ai quali tocca subire i guai conseguenti alle voragini aperte da questi salvataggi.
“Fallita la Lehman… le banche di tutto il pianeta andarono in crisi e i governi dovettero spendere miliardi di dollari per salvarle…
L’esplosione dei debiti pubblici dei paesi sviluppati è stata indotta dalla necessità di salvare le banche private, condotte dai loro manager sulla soglia del fallimento per gli eccessi ai quali si erano abbandonati (M. De Cecco)
“Lo stato ha assunto nel modello globalizzato il ruolo di facilitatore dell’attività finanziaria al punto da accollarsi, in situazioni estreme come la crisi del credito, tutto il rischio. La logica è quella del too big to fall, troppo grandi per lasciarli fallire; questi giganti dai piedi d’argilla devono essere puntellati a tutti i costi altrimenti il tonfo del loro crollo metterebbe a rischio l’intero sistema” (Loretta Napoleoni, Maonomics, Rizzoli Milano, 2010, 130).
Ora le stesse banche, salvate a costi stratosferici dagli stati (oltre il 24% del Pil nel caso della Germania) accusano questi ultimi, con l’ausilio delle Tre Parche del rating (Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch), regine dei pareri in ritardo e delle profezie ex post, di avere debiti pubblici insostenibili e impostano lucrose operazioni al ribasso sui medesimi” (M. De Cecco).
La conclusione di quanto sta avvenendo viene ben sintetizzata da Loretta Napoleoni: “In questa crisi non solo noi, i contribuenti, abbiamo salvato le banche ritrovandoci più poveri, ma queste si stanno arricchendo a nostre spese” (Napoleoni, 117).
I retroscena
Seguiamo questa autrice come guida per cogliere qualche retroscena che ci può aiutare a meglio renderci conto della situazione nella quale ci troviamo.
Quale è la verità della crisi e come mai il sistema finanziario si è ripreso con sorprendente rapidità da quella che veniva descritta come una catastrofe paragonabile a quella del ‘29? Occorre, infatti, tener presente che “non solo le banche hanno incassato il colpo, ma alcune hanno registrato nel terzo trimestre del 2009 profitti superiori a quelli del passato. A differenza del 2008, il 2009, l’anno della crisi, non è infatti stato un anno di magra”.
“A questo punto viene spontaneo chiedersi se a Wall Street la crisi sia solo un affresco allegorico dipinto per istruire le masse sotto le finestre di Bernard Madoff, o davanti all’ex sede della Lehman Brothers, o qualcosa di più deviante. A distanza di più di un anno assomiglia sempre meno al crack finanziario del secolo e sempre di più a una purga staliniana, e infatti tutto quello che ha ottenuto è stato togliere di mezzo alcune banche e aumentare il potere di quelle sopravvissute. E guarda caso le vittime appartengono a quel segmento dell’élite finanziaria reputato da chi gestisce Wall Street «troppo indipendente»” (113). Insomma un regolamento di conti con l’eliminazione degli avversari concorrenti.
“È evidente che c’è una verità dietro la «crisi». Il summit che dovrebbe salvare la Lehman in realtà si riunisce per ridisegnare l’assetto finanziario dell’Occidente e a farlo non sono lo potenze mondiali, ma la punta di diamante della finanza globalizzata: le grandi banche americane. Il G8 e il G20 sono solo lo specchietto per le allodole, posizionato lì per abbagliare noi e la stampa internazionale e farci credere che siano i nostri politici a reggere le fila del mondo. Ma i potenti veri sono ben altri… In pochi mesi questa élite trasforma l’alta finanza occidentale in una piccola potentissima oligarchia, che oggi opera su piazze affari sempre meno competitive. E a dettare le nuove regole del gioco non sono più le istituzioni dello Stato, ma una manciata di banche” (116).
“Non è dunque nell’ottica della democrazia rappresentativa, ma in quella delle oligarchie che bisogna considerare gli eventi” (129).
“La finanza ci tiene in pugno, oggi più che mai, perché c’è sempre meno concorrenza e il pianeta è sempre più piatto” (118),
“Appiattire il mondo, abbattere tutti i muri ha facilitato l’esportazione di un modello economico neoliberista solo di nome, in realtà elitario e predatore. L’interscambio tra politica e finanza facilita dunque la tendenza della seconda a strutturarsi come un’oligarchia. Ma è una metamorfosi resa possibile solo dall’erosione dei poteri dello Stato nel ventunesimo secolo, un fenomeno che si è già verificato in passato e che ci ha portato alla crisi del ‘29. Con l’avvento della globalizzazione è semplicemente tornato alla ribalta” (133).
Credo che si debba ormai affermare che la speculazione finanziaria sia una delle maggiori attività criminali i cui danni sono incalcolabili in termini di corruzione che genera, di sofferenza umana che produce e di estensione del suo raggio di azione. Sempre più si sta rivelando un’attività che arriva ad essere apertamente predatoria, finalizzata al saccheggio e quindi alla distruzione della vita. I due termini in corsivo sono tratti da un articolo di Paul Krugman che li utilizza per qualificare l’attività della Goldman Sachs (La Repubblica 20.04.10).
La politica come menzogna
Nel giro di un mese ci siamo ritrovati con l’intera Europa sotto scacco, con la moneta unica in gravissima difficoltà. Perfino la sopravvivenza dell’euro è in forse. Non solo i paesi più deboli, come all’inizio sembrava, ma anche i forti arrancano. Sembra che nessuno sappia quello che potrebbe accadere.
“Molto probabilmente la crisi del 2007-2008 passerà alla storia come una grande occasione mancata. I governi non hanno avuto il coraggio di cambiare le regole. Sedotti dai banchieri, i ministri dell’economia e i governatori delle banche centrali non sono riusciti ad accompagnare alla concessione di aiuti pubblici l’imposizione di limiti severi alla speculazione finanziaria” (Salviato, 228).
Fino a due mesi fa in Italia, soprattutto nel periodo elettorale, “la voce del padrone”, con tutti i suoi servi accodati, giurava che il grosso della crisi era passato, che si trattava di un problema psicologico e che erano i disfattisti della sinistra che incrinavano il buon umore e l’entusiasmo del popolo…
Gli operai che manifestavano all’Asinara o sui tetti delle fabbriche, quei datori di lavoro che si sono tolti la vita per disperazione, volevano dire cose diverse, ma erano condannati all’invisibilità e al silenzio. Anzi, approfittando della crisi i signori del governo non nascondono la loro volontà di picconare quello che ancora rimane dello stato di diritto e dei diritti dei lavoratori. Persino la parola “lavoro” dell’art. 1 della Costituzione italiana si vuole eliminare! Anche per questo aspetto funziona il titolo di quaderno: “Si scuotono le fondamenta”.
La politica in televisione in gran parte si riduce a baruffe con i soliti scontri… “ad personam”, mentre nell’ombra prosperano logge affaristiche che trasformano in privato ciò che è pubblico…
La politica, quella che si prende cura delle condizioni reali delle popolazioni, è assente, vuota. Al suo posto domina ininterrotta la propaganda, la corruzione delle menti e dei cuori, il tentativo di ridurre la comunicazione al pensiero unico di chi comanda, chiudendo gli spazi o tagliandoli del tutto a chi dissente.
Gravissima responsabilità è quella di non trattare i nodi veri e reali della posta in gioco che la crisi ha fatto emergere, sulla quale i cittadini hanno il diritto almeno ad una informazione veritiera. Riportiamo parte della lettera di dimissioni che la conduttrice del TG1 Maria Luisa Busi ha indirizzato al direttore Minzolini. È uno spaccato esemplare che aiuta a comprendere fino a che punto arriva il servilismo verso il padrone, che alle sue dipendenze vuole solo narratori di favole ed intrattenimenti giocosi.
Dove sono le donne della vita reale? Quelle che devono aspettare mesi per una mammografia, se non possono pagarla? Quelle coi salari peggiori d’Europa, quelle che fanno fatica ogni giorno ad andare avanti perché negli asili nido non c’è posto per tutti i nostri figli? Devono farsi levare il sangue e morire per avere l’onore di un nostro titolo. E dove sono le donne e gli uomini che hanno perso il lavoro? Un milione di persone, dietro alle quali ci sono le loro famiglie. Dove sono i giovani, per la prima volta con un futuro peggiore dei padri? E i quarantenni ancora precari, a 800 euro al mese, che non possono comprare neanche un divano, figuriamoci mettere al mondo un figlio? E dove sono i cassintegrati dell’Alitalia? Che fine hanno fatto? E le centinaia di aziende che chiudono e gli imprenditori del nord est che si tolgono la vita perché falliti? Dov’è questa Italia che abbiamo il dovere di raccontare? Quell’Italia esiste. Ma il TG1 l’ha eliminata. Anche io compro la carta igienica per mia figlia che frequenta la prima elementare in una scuola pubblica. Ma la sera, nel TG1 delle 20, diamo spazio solo ai ministri Gelmini e Brunetta che presentano il nuovo grande progetto per la digitalizzazione della scuola, compreso di lavagna interattiva multimediale.
Ma ecco l’annuncio che squarcia la nebbia di menzogne raccontate in tutte le salse. Tocca a Gianni Letta, sottosegretario alla presidenza del consiglio e gentiluomo di sua santità, dare il solenne annuncio che sulla crisi prima si era scherzato: l’ennesima barzelletta di quel mattacchione di Silvio. Ecco il verdetto per tutti: “Sarà una serie di sacrifici molto pesanti e molto duri che siamo costretti a prendere per salvare il nostro paese dal rischio Grecia”.
La “favola del cavaliere” è finita, si legge su qualche giornale. Nel momento della verità “Silvio non c’è”! È volato al suo paese delle meraviglie.
Svuotamento del cristianesimo
Che ne è del cristianesimo in un mondo totalmente innervato e avvolto da questo dominio della finanza di rapina? Ci limitiamo a qualche accenno perché su questo torneremo.
Non ho mai potuto dimenticare un frammento giovanile di Walter Benjamin che risale al lontano 1921: “Il capitalismo in occidente si è sviluppato parassitariamente sul cristianesimo e in modo tale che alla fine nell’essenziale la sua storia è quella del suo parassita, del capitalismo” (Walter Benjamin, Sul concetto di storia, Torino, Einaudi, 1997, 285). Noi crediamo che il cammino simbiotico del cristianesimo occidentale con il capitalismo, sempre più connotato da un’economia di rapina, abbia profondamente indebolito nei cuori e nelle menti l’energia e la forza della gratuità evangelica. La religione dell’utile, il “culto dell’utile” è qualcosa di pervasivo che tende a infiltrarsi ovunque, a svuotare ogni altra dimensione della vita in funzione del profitto individuale. Il criterio esclusivamente utilitarista tende ad impadronirsi del senso della vita, compreso anche l’annuncio religioso.
In particolare, per quanto riguarda il versante più strettamente economico finanziario, si deve osservare che sotto il profilo storico nella Chiesa “è prevalsa la cultura mercantile, il cui capitalismo commerciale ha preso piede, lasciando la Chiesa nuda, senza una teoria finanziaria propria, ad adeguarsi progressivamente alla cultura prevalente del mercantilismo prima e del capitalismo poi… In realtà il cristianesimo non ha elaborato una propria dottrina forte in fatto di economia e ha perso definitivamente la sua battaglia in campo finanziario… Mentre nella teoria del lavoro la dottrina sociale della Chiesa si è espressa in favore del rispetto e dei diritti, in quella finanziaria il silenzio è stato totale”.
Sono le parole di don Vinicio Albanesi prese da un’intervista contenuta in Ferruccio Pinotti e Udo Gumpel, L’unto del Signore (Rizzoli, Milano, 2009, 192-199). In sostanza viene accettato il principio che i soldi devono fruttare soldi indirizzando gli investimenti dove rendono di più: “Ed è qui dove si vede la mancanza di morale: il cattolico, che sia vescovo, parroco o catechista, è convinto che i soldi debbano fruttare come quelli dell’investitore, costi quel che costi…”.
Occorre aggiungere che se è vero che sul piano dottrinale c’è stata netta la sottolineatura della dignità dei lavoratori, andrebbe verificato nel concreto quanto questa concezione sia presente nell’organizzazione e nei rapporti di lavoro ed anche nella stessa comunicazione pastorale. La mia impressione è che, quando va bene, essa rimanga il più delle volte materia per addetti ai lavori e alle tavole rotonde, in occasione di ogni uscita di enciclica.
Per don Albanesi la ferita più profonda non va ricercata nei singoli scandali finanziari in cui può incorrere una organizzazione religiosa, ma nella logica perseguita: massimo profitto e minimo rischio. La stessa che domina i mercati finanziari.
A questo si aggiunga la presenza della banca vaticana, lo Ior, che non si configura certo come banca etica.”I percorsi compiuti dal denaro dello Ior sono gli stessi di altri scandali. Ciò che è grave è che una mancanza di trasparenza provenga da una banca vaticana, la quale non si preoccupa di indicare condizioni e principi alla quale essa non può sottrarsi: divieto di finanziare guerre, sfruttare il Terzo mondo, agire tramite speculazioni” (ivi, passim. Su questi problemi si può leggere il libro di Gianluigi Nuzzi, Vaticano S.p.A., Chiarelettere, Pioltello 2009).
Sono solo accenni per chiamare in causa uno dei nodi che, come quello della pedofilia, dovrà pure venire affrontato con decisione. Ne va del Vangelo. Come si fa a tenere insieme la parola evangelica “non si può servire a Dio e a mammona” (Mt 6,24; Lc 16,13) e poi praticare logiche finanziarie le cui finalità sono la moltiplicazione del denaro attraverso il denaro?
Non è ora di riprendere in mano con decisione quello che, in merito, è chiaramente emerso nel Vaticano II a proposito della Chiesa dei poveri e della Chiesa povera? Se non vengono sciolti gli abbracci mortali e le complicità a livello di denaro e di potere, che rendono insipido il sale della parola di salvezza, il cristianesimo occidentale è ad altissimo rischio.
Esodo
Lo scorso 1° maggio abbiamo tenuto il convegno che ha assunto come tema centrale l’Esodo. Il prossimo numero riporterà le relazioni e gli interventi che ci aiuteranno ad immaginare un cammino di liberazione a partire dalla situazione in cui ci stiamo dibattendo.
È ora di riprendere il cammino. Insieme. Si tratta di uscire da una cultura della morte. Insieme.
“Quando sono scosse le fondamenta, il giusto che cosa può fare?” (Sal 11,3). È la domanda che assumiamo come guida. E… se non ora, quando?