Estate 2014 a Milano:
micro-lotta esemplare a favore di
alcuni minori non accompagnati

Voci dalla stiva



Rossana, studentessa di medicina, di Sesto San Giovanni (MI), è protagonista di una micro-lotta a favore di 3 ragazzi minorenni arrivati a Milano dopo la traversata del Mediterraneo. Il suo racconto e le sue riflessioni sono molto istruttivi… purtroppo!

Inizio settembre 2014

1. LA STORIA

Lunedì 18 agosto si presenta in ASL un ragazzino smarrito, sporco, egiziano, non parla mezza parola di italiano. Grazie ad un amico egiziano della scuola migranti riusciamo a capire da dove viene e troviamo uno della sua stessa città che è disposto ad ospitarlo per la notte. Il mattino dopo mi reco in Via Dogana, dove sono gli uffici protezione minori del comune di Milano.

La prassi è la seguente. Tutti i minori non accompagnati finiscono prima o poi in questura, vengono foto segnalati e registrati, viene dato loro un foglio di identificazione. Sul foglio, tradotto in arabo, c’è scritto di presentarsi agli uffici di via Dogana a Milano.

Questi uffici si occupano dell’assegnazione dei ragazzi in comunità.

Quando mi presento con Mohamed, il ragazzo smarrito, ci sono altri 20-25 ragazzi che aspettano in corridoio.

Alle 8.30 vengono raccolti tutti i fogli di identificazione dei ragazzi. Loro restano seduti per terra in corridoio. Gli impiegati e gli assistenti sociali si ritirano a deliberare. In base a criteri che non ci è consentito sapere, vengono scelti un tot di ragazzini per essere assegnati il giorno stesso in comunità. In media uno o due al giorno.

I posti sono limitati, le comunità a Milano sature. Gli altri: fuori! tornare domani. Senza curarsi del fatto che siano appunto, MINORI NON ACCOMPAGNATI.

Alcuni dei ragazzi protestano. Restano seduti, dicono che non hanno un posto, vogliono andare in comunità. Gli agenti della polizia locale, che piantonano la porta dell’ufficio al quarto piano, li cacciano via in malo modo. Alcuni vengono sollevati di peso e invitati a scendere le scale. Indecente e illegale.

Ci sono ragazzi che aspettano da settimane, tutte le mattine alle 8 sono in via Dogana con il loro foglietto. Altri che non ci provano più. Altri che sono scappati dalle comunità o che hanno quasi 18 anni… questi non verranno mai presi.

Mentre aspettavamo fuori dagli uffici una mattina, ho fatto un’indagine tra i ragazzi, aiutata dal mio amico egiziano Nosair: da quanto tempo aspettate un posto, da quanto tempo in Italia, quanti anni avete e dove andate quando vi cacciano fuori.

Cinque di loro dormono in giro. Non hanno nessuno a cui appoggiarsi qui per dormire. Gli altri bene o male se la cavano: un connazionale, un mezzo parente che offre loro un posto letto…

Invito questi cinque a Sesto-Marelli il giorno dopo. Qualcosa faremo.

Il giorno dopo si presentano in tre. E qualcosa abbiamo fatto. Parlo con Andrea Vainer di “Clochard alla riscossa”, organizzatore dell’occupazione del palazzo ex-sede Alitalia. Lui si offre di sostenermi nella lotta e di fare dormire i ragazzi lì. Naturalmente, qualcuno dei “nostri” deve essere sempre presente con i ragazzini. Sono minori, se succede qualcosa… Vainer ha già una collezione di denunce.

Da domenica siamo in uno stanzone comune del quarto piano. Alcuni amici italiani e migranti mi stanno aiutando nella logistica. Abbiamo materassini da campeggio, lenzuola e un giro di t-shirt da fare invidia.

Se tutto va bene, una soluzione c’è: domani in un incontro ufficioso potrebbero risolvere la situazione dei tre ragazzi assegnandoli in comunità e – vittoria più grande – assegneranno un’ala del dormitorio pubblico cittadino di via Ortles a Milano come soluzione temporanea per tutti quei minori abbandonati che non hanno un posto dove stare in attesa di essere assegnati in comunità.

Non finisce qui. Vi aggiornerò sull’esito…


2. RIFLESSIONE: LE FALSE ANALISI

Si chiamano Alan, Shnuda, Emad. Sono tre ragazzi egiziani di 15, 16,17 anni. Sono arrivati qui da soli, in un barcone fino in Sicilia. Da lì a Milano.

Sono minorenni. Per ragioni che forse neanche io comprenderò mai fino in fondo, legate pure a false aspettative sulla situazione in Italia ma soprattutto legate alla necessità, HANNO RISCHIATO LA VITA per arrivare qui. I loro genitori gliel’hanno fatta rischiare per offrire loro una possibilità di salvezza. Riusciamo ad immaginare?

Questo è il primo dato. Qui si apre il primo terreno di scontro, quando ragiono con i rappresentanti delle istituzioni, anche se sono dei “nostri”: “Ma che cosa ci vengono a fare qui?”, mi dicono, “pensano che ci sia la manna, che qui possiamo accoglierli tutti…non capiscono! Non ce la possiamo fare! Devono capire che non ce la possiamo fare!”

NO. Caro compagno, assessore, consigliere, assistente sociale. NO. TU DEVI CAPIRE che LORO non ce la possono fare. Non sei tu, SONO LORO che non ce la possono fare…

In un mondo messo male come il nostro, anche l’analisi di fenomeni così evidenti viene ribaltata.

I presupposti di molti di questi funzionari, dipendenti, esponenti… sono SBAGLIATI.

Chi ha una casa, tu o loro? Chi ha lasciato il paese per rischiare la vita su una barca, tu o loro?

I tuoi figli sono a scuola? E questi ragazzi invece?

Quindi…

Se si accetta questa premessa si può iniziare a ragionare sui problemi, sul deficit di bilancio del comune, sugli atti vandalici dei ragazzi, sulle mille contraddizioni.

È però FONDAMENTALE prima DISTINGUERE GLI OPPRESSORI DAGLI OPPRESSI.

Avere sempre chiaro, non vacillare E NON DIMENTICARE MAI che L’INGIUSTIZIA PIÙ GRANDE è quella che DIVIDE IL PIANETA IN DUE TIPI DI UMANITÀ e che porta come una tra le conseguenze centinaia di migliaia di persone a migrare in Italia.

Queste persone NON STANNO SCEGLIENDO di venire.

Sembra così semplice ma, di fronte alle contraddizioni interne ai poveri e alla crisi che la loro presenza provoca nel nostro sistema, tutte le figure istituzionali, anche i compagni più sensibili, si nascondono dietro FALSE ANALISI.

Alcuni rappresentanti delle istituzioni mi dicono che ci vuole un percorso, coordinato tra il governo Egiziano e il nostro paese, con visti-studio perché i ragazzi arrivino qui in regola.

“Noi non possiamo affrontare e accogliere come comune di Milano tutte queste emergenze”.

Ah, caro compagno, assessore, consigliere, assistente sociale, non temere… Rimarranno egiziani anche in Egitto. Quelli potrai aiutarli con tutti gli accordi che vuoi, se ti ricordi di farlo…

È chiaro. Non possiamo accoglierli ma possiamo trovare accordi e percorsi internazionali con un governo che neanche esiste…

Ok, proviamo. Io vado a cena con i ragazzini di strada, tu va’ a incontrare il presidente Abdel Fattah al-Sisi… e vediamo alla fine chi riesce a combinare qualcosa.


3. COSA VUOL DIRE QUESTO PER NOI

Se la premessa è chiara, ovvero SCHIERARSI A FIANCO DEI VERI OPPRESSI, bisogna aprire la porta e affrontare le ingiustizie che si trovano sul pianerottolo: il migrante come lo sfrattato, l’italiano che ha perso il lavoro…

Affrontarle con metodo, in maniera intelligente.

Qui cominciano i veri problemi. Il primo problema è quello di far rispettare i diritti umani e quelli sanciti dalla Costituzione e da tutte le convenzioni. Sappiamo che per legge i minori hanno diritto a protezione, accoglienza, assistenza sanitaria, scuola…

Allora, “apri la porta” e sul pianerottolo trovi: Emad (16 anni) Shnuda (17) e Alan (15) che dormivano in Stazione Centrale. Non hanno nessuno che si preoccupi per loro. Non vanno a scuola, girano per strada tutto il giorno.

Prede fin troppo annunciate. Uno di loro aveva scarpe di 3 numeri più piccoli. Le ha portate per settimane, ha i piedi piagati e infettati per questo, ora fa fatica a camminare.

Sappiamo anche che a tanti minori in Italia non è garantito nessuno di questi diritti dallo Stato.

Emad, Shnuda e Alan sono tre. Fuori ce ne sono altri, il loro numero aumenterà a Milano (limitiamoci a qui). Sappiamo anche questo. Sappiamo che i servizi sociali non hanno offerto soluzione. “Non ce la possono fare”…

Ma so – e sento anche – che OGNI GIORNO che questi ragazzi hanno passato in queste condizioni è stato UN GIORNO DI VIOLENZA perpetrata a danno di MINORI. Da parte dello Stato e di tutti coloro che potrebbero o addirittura “devono” fare qualcosa.

Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, trattato di Ginevra, la stessa costituzione italiana, ecc…

Il secondo passaggio è questo: deve essere ben chiaro nella testa e nel cuore di chi vuole restare umano che NOI ADULTI SIAMO RESPONSABILI di quello che succede nel nostro paese, vicino a noi almeno… Se non vediamo, non ci indigniamo e non ci muoviamo diventiamo COMPLICI.

Qui stiamo franando in tutti i sensi, ma NON DOBBIAMO ACCETTARE le violenze che abbiamo sotto il naso.

Alcuni giorni fa, quando ho deciso di mettermi fino in fondo in questa situazione, scrivevo che ad un certo punto bisogna uscire a sbattersi, conoscere e – perché no? – a vivere le oppressioni e le condizioni di un gruppo umano. Altrimenti…


 

Due settimane dopo

Poco fa ho scritto al responsabile cittadino della Caritas:

La situazione è rimasta uguale: nonostante uno spiraglio apertosi settimana scorsa con l’assessore, quei ragazzi continuano a stare con noi [all’ex-Alitalia], tra mille difficoltà.

A questo punto, dovremmo almeno puntare sull’assegnazione in comunità del ragazzo più grande (17 anni e 5 mesi). Con questa possibilità, nei prossimi 6-7 mesi, il ragazzo avrebbe almeno l’opzione di ottenere un tutore e cominciare le pratiche per il permesso di soggiorno temporaneo. Invece appare chiaro che agli uffici protezione minori lo stanno rimandando fino a che, compiuti i 18 anni, non sarà più un “loro problema” e finirà nel girone fin troppo noto degli stranieri non in regola.

Chiedo scusa per il tono amareggiato, ma in questi giorni ho la sensazione che manchi proprio la volontà politica di affrontare la situazione (non solo per i ragazzi di nostra conoscenza), anche se comprendo benissimo che la condizione delle strutture di accoglienza sia difficile e sottoposta a molte pressioni.

Breve riflessione amara: quando ho iniziato, non avrei mai pensato che saremmo finiti quasi ad elemosinare UN posto in comunità. Per UN ragazzino.

Che vergogna!

Il bordello delle comunità… le corsie preferenziali per i profughi siriani e palestinesi che finiscono per servire a lavare la faccia al nostro caro assessore… gli assetti geopolitici mondiali… il papa e la terza guerra mondiale…

In tutto questo caos, la scelta di una piccola lotta, a tratti simbolica ma senz’altro determinante per la vita di questi ragazzi. Questo perché, pensavo, bisogna partire da quei problemi/ingiustizie che abbiamo sotto il naso. Spendersi in prima persona e allo stesso tempo chiedere con forza che chi ci amministra si spenda a sua volta.

Lo scontro esterno… E lo scontro interno, culturale, a partire dal mettere in discussione il PROPRIO benessere, fare delle rinunce e costruire relazioni e condizioni un po’ più egualitarie per tutti.

Ora siamo qui, so bene che sono impaziente, che il carico di tensione mi viene anche dal groppo che sento in gola quando arrivo all’ex-Alitalia e trovo Shnuda che lava il pavimento o che studia italiano perché, gli abbiamo spiegato, “dobbiamo fare la nostra parte”…

Ora si deve continuare… so bene che tutto ciò che ho imparato in queste poche settimane, quello che ho scoperto, la bellezza della lotta con voi e le ipocrite schifezze che come docce fredde abbiamo sopportato, mi hanno e ci hanno segnato.

Restiamo vivi.

Rossana

17 settembre 2014


 

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