Svelare il tempo
Per chi pensa alla rivelazione come accesso ad una verità a tutto tondo, il sole splende anche a mezzanotte, salvo poi riconoscere che quella luce, ritenuta divina, non era altro che presunzione di sé. Troppa luce abbaglia! In fondo è questo il senso del racconto di L. Tolstoi, Padre Sergio.
Diversa è l’esperienza del profeta biblico: i veli che toglie, strappando le veline della storiografia ufficiale di corte e puntando il dito contro l’ingiustizia lo conducono nei territori oscuri della storia più che negli ameni e luminosi paesaggi dipinti dai potenti. Egli è scomodo a causa del suo porsi come profeta che denuncia, come liberatore che trasforma, come intimo di Dio ma non del potere religioso, come resistente alla logica del dominio. È esperto nell’arte dello svelare.
Colui che decide di camminare col Dio d’Israele viene come dotato di un sesto senso nel vedere cosa c’è in gioco in ogni situazione. E così, se lo sguardo superficiale dei più vede la pentola con le cipolle e la carne, l’uomo biblico scorge la frusta dell’aguzzino; se la reazione normale di fronte agli idoli è il sentirsi attratti dal fascino che emana un Dio “a propria immagine e somiglianza”, il seguace di Mosè smaschera l’inganno di un Dio Moloc; se il popolo aspira ad una normalità dove a governare la situazione sia un re potente, il discepolo di Amos denuncia l’arbitrarietà e l’ingiustizia nell’esercizio del potere.
Questa operazione di svelamento il profeta la opera dall’interno. Anche gli intellettuali, infatti, si presentano come abili critici ma, normalmente, lo fanno a partire da una posizione di estraneità spazio-temporale: la critica avviene dopo e da altrove. I profeti, invece, non attendono i tempi del sano (?) distacco, si giocano nel presente ancora ambiguo, oscuro; inoltre non lanciano le loro accuse in aule accademiche ma si sporcano le mani, condividono la sorte di chi subisce l’oppressione da essi stessi denunciata.
Secoli e secoli prima dei moderni maestri del sospetto, lo sguardo dei profeti biblici si è posato impietoso sulla tragica realtà della storia, denunciando l’ingiustizia e svelando la mistificazione.
Gesù muove i propri passi lungo questa strada e per questo viene condannato come soggetto pericoloso, da bandire fuori delle mura della città, da crocifiggere come malfattore. Si può sfuggire al controllo pervasivo ed implacabile di chi detiene il potere per qualche fortunata circostanza: Gesù era sfuggito alla strage perpetrata da Erode e ad altri tentativi di eliminazione architettati dalla classe dirigente clericale. Ma si è trattato solamente di un rimandare la conclusione già nota. Alla fine non si sfugge alla scena dell’ingiustizia, al prevalere del forte nei confronti del debole.
Quel giorno la storia distese uno scenario in cui prevalse il buio anche in pieno giorno: “Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio” (Lc 23, 44).
Sul Golgota – l’altro monte su cui salire, oltre al Sinai, quando si ragiona di rivelazione – regna un’oscurità infernale, terribile.
Di fronte a questa realtà alcuni fuggono dalla tenebra orrenda verso luoghi in cui splende un po’ di luce (anche solo artificiale); altri trasfigurano la realtà e nel buio vedono un improbabile chiarore. Sulla scena proviamo ad immaginare presenti i compagni del ladro cattivo che sgranano gli occhi per vedere lucidamente il tragico spettacolo, e tornano poi alle loro vite di ogni giorno percuotendosi il petto (v. 48), gesto non di pentimento ma di rabbia, segno di un cuore spezzato perché incapace di dimenticare le urla irredente.
Con gli occhi di questi ultimi vogliamo fissare lo sguardo sull’avvenimento del Golgota. Costoro, figli degli antichi veggenti, hanno continuato a guardare con l’occhio penetrante della sentinella, hanno voluto testardamente vedere, denunciare.
Il loro amico crocifisso è stato persino capace di operare un ultimo svelamento, quando ormai la morte stava spegnendo il cuore, la mente, lo sguardo: smascherando una fede a buon mercato e rifiutandosi di ricorrere alla religione come coperchio che chiude e nasconde la diabolica pentola della storia.
Per questo tra l’ora sesta e l’ora nona di quel giorno, sul Golgota, i loro occhi penetrarono quelle dense tenebre senza cedere alla tentazione di volgere altrove lo sguardo o vedere altro.
Se per gli evangelisti, preoccupati di annunciare il volto del Dio solidale, in quell’ora si è squarciato il velo del tempio, per il ladro cattivo e i suoi compagni, testimoni della barbarie del potere, in quell’ora si è strappato anche il velo della storia. Tuttavia qui non è in gioco solo un problema di verità storica: le anime belle possono permettersi ideali di trasparenza e correttezza; i corpi oppressi desiderano solo salvare la pelle propria e di chi subisce la stessa malasorte. E per ottenere questa concreta salvezza occorre certo svelare e denunciare; ma è altrettanto necessario resistere e velare.
Coloro che avevano deciso di opporsi alla Bestia, di non scendere a patti con l’ultimo faraone di turno, l’occupante romano, conoscevano bene la storia di Tamar, che si era velata da prostituta per ottenere da Giuda, suo suocero, quanto gli era dovuto in base alla legge del levirato (Gen 38). La donna, antenata del Messia, aveva sfidato chi la trattava ingiustamente usando una spregiudicata furbizia.
Anche Giuditta aveva smesso gli abiti da vedova e si era rivestita dei veli più seducenti per ingannare Oloferne e liberare il popolo d’Israele dall’accer-chiamento assiro (Gdt).
L’astuzia e l’inganno non sono solo virtù diaboliche: chi desidera con tutto il cuore cieli nuovi e, soprattutto, una nuova terra, deve avanzare nella storia disarmato, nudo, semplice come le colombe, ma anche velato, astuto e prudente come i serpenti (Mt 10, 16).
È la stessa passione per la giustizia che spinge nelle due direzioni solo apparentemente opposte dello smascherare e denunciare e dell’opporre resistenza e lottare: svelare e velare!
Dio stesso si vela, si sottrae quando lo sguardo umano si fa troppo possessivo, si nasconde per sfuggire alla cattura strumentale; mentre si manifesta quando sente il grido del povero che invoca affinché siano svelati i piani degli empi e siano riscattati i deboli oppressi. Ma neppure questo è sempre vero, come sa bene il ladro cattivo.
Il rivelare da parte di Dio non può essere inteso come manifestazione luminosa, indicazione sicura del senso: esso risuona nella storia come parola di promessa e di appello, sempre a rischio di smentita (a meno di voler cercare a tutti i costi conferma al proprio bisogno di sicurezza, rimuovendo il dramma della storia universale e cercando il compimento delle proprie attese in un più ristretto ghetto storico-salvifico). Non dimentichiamo che la rivelazione è fuoco che scende dall’alto (Es 19,18) il quale, tuttavia, non attecchisce se non incontra il fuoco creato dal basso (Dt 4,11). Questa rivelazione del Regno di Dio, del mondo come Dio lo vuole, è soggetta alle fedeltà e alle infedeltà di Dio e dell’umanità: come dire, a rischio al quadrato!
Il rivelare biblico è, dunque, un continuo svelare e velare in vista della redenzione.
Sul Golgota i compagni del ladro cattivo hanno tolto i veli dalla scena della crocifissione, così da far emergere chiaramente il suo carattere di scena dell’ingiustizia. In quel momento non hanno avuto la forza di velarsi, di coprirsi il capo e riprendere la lotta: la disperazione ha suggerito solo di rivestire il corpo senza vita del loro sfortunato fratello. Lì la rivelazione è un buio opprimente nel quale Dio ci abbandona e la sete di giustizia, almeno per un attimo, si paralizza. Bisognerà aspettare il giorno dopo per rimettere assieme la lucidità con la passione, l’utopia con il disincanto e riprendere il cammino mai concluso dalla casa di schiavitù alla terra promessa.
Allora, il giorno dopo, si tornerà a sognare, come Mardocheo, che le grida dei disperati diventeranno fonte di acque copiose, che nel giorno di tenebra spunterà la luce del sole (Est 1,1a-11); ma fintanto che i nostri piedi calcano la terra del monte del cranio, la scena è tutta riempita dall’incubo di una tenebra senza fine. E la fedeltà a quanto visto sugli innumerevoli Golgota della storia è criterio di verità della rivelazione non ridotta alla stregua di una lampada magica.