Il Vangelo nel tempo:
silenzio di Dio (3)


 

Tempo di grazia, perché pensavo e mi auguravo che qualche cosa potesse cambiare in meglio nel nostro modo di fare pastorale e di essere chiesa ed, invece, ahimé, poco è cambiato.

Sono parroco in quattro comunità dell’Alta Valle Camonica, provincia e diocesi di Brescia e nelle mie comunità, come altrove, abbiamo vissuto questo periodo con grande trepidazione e paura: tutto si è fermato; per molti giorni si è vissuto un clima surreale: tutto era avvolto da un silenzio spettrale, sembrava che il mondo attorno si fosse fermato. L’unica nota positiva era che meteorologicamente c’erano giornate stupende e, almeno quelle, ti davano un po’ di carica positiva.

Personalmente ho cercato di essere accanto alle mie comunità mandando ogni giorno un messaggio sui vari gruppi o telefonando a quelle persone (soprattutto anziani) che erano le più sole.

Ho dedicato molto tempo alla lettura e alla preghiera, ma mi sono anche posto alcune domande, tra le quali anche quelle sul futuro delle nostre comunità e su come si poteva riproporre un modo nuovo di essere chiesa, che poi tanto nuovo non è; un modo che ripartisse dalla Parola letta, meditata e condivisa iniziando dalle case, un modo di ripartire dal sacerdozio battesimale.

Non abbiamo celebrato per molto tempo l’eucaristia ed anche questo non mi ha comportato chissà quali scompensi, mi sono sentito prete ugualmente, un prete che celebrava con i propri fratelli una eucaristia fatta di silenzio, paura, sofferenza e per questo, forse, più viva, perché incastonata nella vita reale e non solo in un rito, che a volte, può anche essere sterile ritualismo.

Non ho affatto condiviso certe richieste fatte dai vescovi (ed è qui che dico come non siamo riusciti a cambiare, anzi… abbiamo proposto il passato) di processioni varie o preghiere per chiedere la cessazione della pandemia e, a dire il vero, non ho accolto nemmeno entusiasticamente certe preghiere di Papa Francesco, come se tutto ciò fosse opera di un Dio cattivo ed incavolato con l’umanità per i peccati da essa commessi e che ora volesse vendicarsi: idea pagana e teista.

A qualche mio parrocchiano che mi faceva notare come, nonostante le fervide preghiere Dio non ascoltava, ho detto: “È un buon segno che non ascolti, perché ciò vuol dire chiaramente che il male non arriva da Lui e che anche Egli è impotente di fronte a ciò: noi crediamo in un Dio che è debolezza”.

Ne sono più che convinto ed è per questo che non mi pongo più tante domande sull’argomento: credo in un Dio che non ha la bacchetta magica, credo in un Dio debole e piccolo che si manifesta sulla croce come un disperato che muore solo; ma credo anche in un Dio che ti tiene la mano quando cammini nel buio e non ti molla mai, perché ti è papà e ti ripete: “non temere: io sono qui con te”.

In quei giorni mi ritornava spesso alla mente questa immagine: io ho sempre avuto paura del buio, però c’era una persona con la quale ero disposto anche a camminare nel buio, perché mi infondeva fiducia e amore: il mio papà, con lui sarei stato disposto ad andare ovunque: ecco, Dio per me è così: una stretta di mano, un abbraccio forte che non ti molla mai, nemmeno nel buio, anzi ti tiene ancora più stretto.

Come chiesa italiana, penso che abbiamo toppato ancora una volta, perché non siamo stati capaci di staccarci da un devozionalismo sterile e che non dice più nulla, non siamo stati capaci di educare i nostri fedeli ad una religione matura e non più infantile, ad una religione cristiana e non più pagana che ha bisogno di sacrifici e di olocausti per placare la divinità.

Nel mio piccolo credo che questo sia il compito del prete: dare ai fratelli un cibo solido e soprattutto costruire comunità che ripartano solo dal Vangelo, comunità dove anche il ministero sia pensato e vissuto in modo totalmente diverso: dove il prete non sia il mago del sacro, ma il fratello tra fratelli, un mendicante di luce come tutti: un battezzato che spezza la Parola ed il pane, ma inserito concretamente nella vita degli uomini e delle donne del suo tempo con tutto ciò che questo comporta.

Sarà una utopia, un sogno? A me piace sognare e mi piace impegnarmi per essere un prete uomo ed umano e non un uomo sacro.

Giuseppe Magnolini


 

Share This