Sirio Politi / Scritti del periodo 1965-1975 (3)
Il Vescovo di Torino ordinava sacerdoti alcuni amici della nostra comunità, ai quali eravamo particolarmente uniti, perché gli ultimi due anni di preparazione al sacerdozio li avevano impegnati in una vita operaia. E quindi tutto il problema operaio, attraverso il segno vivo di quei ragazzi, era lì, in una presenza chiara e scoperta davanti alla Chiesa, a riceverne una consacrazione di sacerdozio.
Ce ne era in abbondanza da piangere all’infinito. Perché tutto mi ritornava nell’anima, un sogno senza fine, uno struggimento da morire, una passione sempre accesa, questo problema terribile di vita umana, a bussare al cuore – chissà perché rimane così chiuso, ostinatamente – della Chiesa.
Uno spiraglio, quel pomeriggio: un Cardinale, una chiesa parrocchiale, una folla di gente, tre giovani chierici-operai… ma che diventasse una frana, un rompere gli argini, uno sbriciolare ogni muraglia, un gettare in mare tutte le montagne, perché la Chiesa possa abbracciare tutti i suoi figli e essere per tutti unicamente Amore!…
E allora succede che i sogni diventano lacrime, pianto sconsolato, cuore che si stringe in un’afflizione infinita.
Che altro si può fare?
E quando il Cardinale parlava e raccontava quello che Lui pensava e credeva del sacerdozio, cercando i suoi pensieri soprattutto in S. Paolo e nella tradizione della Chiesa, mi veniva in mente – ed erano pensieri terribilmente chiari e precisi – cosa avrei detto io a quei giovani preti se mi avessero invitato a parlare loro, al microfono.
Non molte cose e tanto meno una buona lezione di teologia, rimediata meglio che era possibile, nello scadimento di tanti studi teologici sul sacerdozio operato spietatamente dai nostri tempi. E meno ancora una litania di raccomandazioni varie, di esaltazioni sciocche, di ministeri mirabolanti.
Avrei semplicemente chiesto loro perdono. Io, quasi ormai vecchio prete, venuto su dalla gavetta, logorato da troppe vicende, ma specialmente spento in troppi sogni.
Perdono di offrir loro dopo due mila anni, un Sacerdozio così impoverito, depresso, disorientato, stranito. Non si sa più nemmeno cosa sia Sacerdozio. Quale la sua specificazione nel Mistero Cristiano. Il suo preciso rapporto con Cristo. Il significato della sua presenza nel mondo. La sua giustificazione a stare fra gli uomini. La forza della sua parola. Il valore della sua testimonianza. Uomo di Dio o professionista di Sacramenti. Disco inciso di manuali di teologia o Parola che si fa Carne incessantemente. Ministro di misteri vari o luce accesa, sale della terra, pugno di lievito, ma seriamente cioè con incarnazione pagata da carne e sangue, non la sospirosa e languida misticheria pietistica. Ottima sistemazione perché ormai livellata su piani professionistici, per stipendi, pensione vecchiaia, mutua malattie, e per colmare la misura di un imborghesimento forse inevitabile, matrimonio in vista.
Autorità assolutistiche che chiedono e pretendono obbedienze da noviziato per tutta la vita. O indipendenze a titolo individualistico, ciascuno a principio e fine di ogni cosa, rivoluzioni radicali, scontentezze a non finire, contestazioni a ruota fissa. E intanto conservazioni a misura di museo, mentalità solidificate, pietrificate, chiusure stagno, insensibilità paurose.
Il tutto in un mondo che è quello che è. Borghesismo impressionante, a crescita continua. Un mondo capitalistico con il dio denaro in trionfalismi prepotenti, spietati, assoluti. E poche e sconclusionate novità rivoluzionarie che non siano pacchiano tentativo sostitutivo di potere.
Ecco il Sacerdozio che ti do. Il mistero che ti offro. L’eredità che ti consegno. Quello che possiedo. Ciò che io sono.
E’ poco, è spaventosamente poco.
E’ come se avessi lungo i secoli dilapidato un patrimonio.
E’ come se non avessi, e in millenni, concluso nulla.
Vengo da lontano e ho le mani vuote. E sono stanco della strada e consumato dalla fatica. Sono come un vecchio logorato e deluso, sfiduciato.
Ti chiedo perdono di consegnarti soltanto un peso. Soltanto una crisi. Una crisi che non so nemmeno come si risolverà.
E’ una terra piano piano abbandonata, sempre meno lavorata e coltivata. Una terra invasa e oppressa e vinta dal cemento e dalle autostrade. Sta diventando sempre di più terra di nessuno.
Ti chiedo perdono di offrire alle tue braccia giovani e al tuo cuore colmo di speranza, una terra bruciata così.
E ti chiedo perdono del coraggio, forse dell’incoscienza che ho, nel continuare ad offrirti pur sapendo che tutto questo ti sopraffarrà. Perché ho molto da offrirti, da caricarti addosso – fino a schiacciarti, il peso – da aver bisogno di miracoli per poter continuare a vivere ogni giorno e guardare al domani con fiducia e speranza.
Ti chiedo perdono perché io so cosa vuol dire che Dio è l’unico. Che Gesù Cristo è vero Dio e vero Uomo. E sarà l’unica spiegazione della tua vita. Che la Chiesa ti succhierà fino al midollo delle ossa chiedendoti tutto e nel frattempo spengendoti come lo spegnimoccolo la candela accsa. Che gli uomini ti mangeranno vivo e ti sputeranno subito per terra se qualcosa rimane loro fra i denti. Che tutti saranno scontenti di te perché tu non vivrai assai per morire continuamente e non morirai abbastanza per essere miracoloso motivo di vita.