IN QUESTO MONDO A RISCHIO
QUALE CHIESA?
Bergamo / 13 giugno 2015

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Ci muoviamo in un mondo di cambiamenti veloci, che non riusciamo più a leggere con le categorie abituali. Ma lo spaesamento non è l’unica risposta alla destabilizzazione del contesto attuale; in questo tempo, infatti, oltre il lamento, possiamo fare esperienza del “dono dell’incertezza”. Un dono che costringe a ripensare tutto, a farci e fare delle domande. Al tempo di Google, le risposte ci sono tutte; mancano, invece, le domande. Si tratta, allora, di cogliere le domande profonde del nostro tempo e, allo stesso tempo, farci anche noi promotori di domande inevase, di sollecitazioni differenti. Mentre sperimentiamo tutta la nostra fragilità e ci sentiamo persi, non perdiamo di vista  il carattere propizio di questo nostro tempo, che ci costringe a ripensare tutto, a non dare niente per scontato, ad essere dei neofiti, che ricominciano dall’inizio, pur sentendo il peso degli anni sulle spalle.
In questo contesto, come parlare della chiesa? Personalmente, sento due esigenze opposte.
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La prima, è la stessa messa in evidenza da Bonhoeffer, nella Vita comune, quando distingue tra una comunità psichica ed una pneumatica: dove “psichica” sta ad indicare la propria chiesa ideale, che corrisponde ad un progetto umano. Ora, a giudizio di Bonhoeffer, è necessario che questa progettualità umana fallisca, altrimenti si costruiscono chiese a propria immagine e somiglianza, senza lasciare spazio alla progettualità di Dio, all’azione dello Spirito. Dunque, l’esigenza prima è quella di mettere in principio l’evangelo, domandandosi: che chiesa sogna Dio per questa nostra umanità?
Nel mio piccolo ministero provo a perseguire questa strada: non quella che mira all’attuazione di “progetti pastorali”, bensì quella che propone un prolungato ascolto della Parola, letta alla luce delle sfide del proprio tempo. In fondo, il mio passaggio alla chiesa battista è nato così: ho iniziato a leggere la Scrittura con alcune sorelle e alcuni fratelli della comunità di Lugano; e quando la loro pastora ha cambiato sede, loro mi hanno proposto di svolgere il ministero pastorale. Non è stata, dunque, una conversione con tanto di cambiamento di chiesa – come si sarebbe detto ai tempi della Riforma e della Controriforma, quando la preoccupazione era quella di stabilire quale fosse la chiesa giusta. Si tratta, piuttosto, di vivere un’esperienza di ascolto comunitario, laddove la vita ci porta.
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La seconda esigenza è in tensione con la prima. Da una parte, infatti, arriviamo capire l’importanza del mettere da parte i nostri progetti troppo umani; possiamo persino dire: ben vengano i fallimenti, se questo permette alla Parola di farsi strada. Dall’altra, però, la Parola stessa domanda discernimento, spinge ad interrogarsi sul senso della Parola in un preciso tempo e luogo. In fondo, nel nostro passato prossimo, il Vaticano II per la chiesa cattolica (e, forse, il confronto col fenomeno del pentecostalismo, per le chiese della Riforma) ha posto il problema di quale volto di chiesa, fedele alla Parola, deve essere proposto nel nostro presente. Ora, pur nella diversità confessionale e nella pluralità delle situazioni, la questione può essere ricondotta a come si articolano tra di loro chiesa-mondo-Regno. E qui si apre il conflitto delle interpretazioni ecclesiologiche!
Io provo a vivere queste due esigenze all’interno di una piccola chiesa. Mi sento di scommettere sulla potenza e sul senso della Parola, che è anche scuola di umanità per gente fragile e disorientata. Una chiesa intesa come comunità di ascolto e di discernimento, che continuamente si interroga su cosa ci sta domandando Dio in questo tempo. Una chiesa che coltiva lo stile dell’ascolto e dell’accoglienza, oltre il lamento, cogliendo il positivo presente in ogni persona.
Mi muovo a tentoni, senza grandi chiarezze, intuendo solo il valore di far parte di un laboratorio di ascolto, vero e proprio anticorpo alla chiesa maggioritaria e vincente, ovvero la chiesa dell’economia neoliberale, una chiesa trionfalistica, con i suoi dogmi, i suoi riti ed il suo ethos non negoziabile. Una chiesa di minoranza, senza pretese illusorie, che, con molta autoironia (non siamo migliori degli altri!), prova ad essere un soggetto umanizzante in un contesto sempre più disumano.

Angelo Reginato


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