Internazionalismo


 

SCHEDA: LE FILIPPINE

Superficie: 300.000 kmq. Un arcipelago con più di 7000 isole, di cui le più vaste sono Luzon e Mindanao (69% deI Territorio).
Popolazione: 53 milioni di abitanti. Un sottofondo composito di gruppi malesi il cui strato etnico più recente, più numeroso, più evoluto, i neo-indonesiani, si è sovrapposto a quello più antico paleo-indonesiano. Nelle foreste soprattutto a NE vivono ancora gruppi della popolazione aborigena: i negritos.
Lingua: la lingua ufficiale è il tagalog parlato dal 44% della popolazione. L’inglese è la lingua del commercio, della scuola, dei tribunali, della cultura e dei mass-media più diffusi.
Capitale: Quezon City (Manila), nell’isola di Luzon.
Forma-Stato: repubblica presidenziale, secondo il modello americano.
Moneta: peso filippino.
Religione: 83% cattolica, il resto è mussulmana, con sopravvivenze di credenze animistiche in alcune zone.
Mali endemici: dipendenza economica, militare, politica dagli USA; corruzione della pubblica amministrazione, debolezza economica, arretratezza agricola.

1521 – Magellano sbarca nell’arcipelago e ne prende possesso in nome del Re di Spagna.
1541 – Inizio della lunga dominazione Spagnola.
1898 – Trattato di Parigi: la Spagna cede agli USA le Filippine. Inizio di una nuova dominazione.
1946 – Dichiarazione di indipendenza e proclamazione della repubblica (4 luglio).


 

1. I dati del viaggio

Il viaggio è stato organizzato dal gruppo ecumenico di solidarietà con il popolo Filippino di Firenze.
Partecipanti: 11 adulti, di cui 2 filippini (+ 3 ragazzi), legati da vecchia amicizia e da un impegno comune di solidarietà con il popolo filippino.
Composizione: 2 infermieri, 2 operai, 1 PO, 3 casalinghe, 2 insegnanti, 1 assistente sociale.
Permanenza: 30 giorni (luglio 1987).
Obbiettivi: approfondire la conoscenza sentita o letta con lo sguardo e l’ascolto diretto. Capire cosa c’è dietro Cory Aquino. Vedere le Filippine.
Metodo: incontri con uomini e donne militanti nelle organizzazioni di base, nelle zone dove direttamente operano: sindacato, partito, organizzazioni dei “poveri urbani” (urban poor), cooperative di pescatori e contadini, parrocchie, comunità di base, singole persone (militanti, intellettuali, vescovi, preti).
Ogni incontro era preceduto da una informazione sulla situazione politica, sociale, economica della zona, fatta da militanti del posto.
Dopo l’incontro, lo stare insieme: mangiare, dormire, girare, vedere ed ascoltare le singole situazioni, fare la spesa al mercato, ecc.
Prima di partire, un incontro per domandare, chiarire, precisare quello che avevamo visto ed ascoltato.
In ogni posto, salvo incontri occasionali, eravamo attesi da 2 o più persone che ci accompagnavano nel giro.
Mezzi di trasporto: autobus di linea e linee aeree locali.

Luoghi e persone contattati

Isola di Luzon:

Manila:
Familiari di Meng, che vive in Italia ed era nel gruppo.
Militanti del NCCP che ha organizzato gli incontri.
Militanti del “Panama”, organizzazione di base del Quartiere Navotas.
Un prete dell’ufficio nazionale che coordina le comunità cristiane di base.
Una dottoressa che dirige un centro di recupero per bambini che sono stati in prigione durante il governo Marcos.
Esponenti del sindacato KMU (1° maggio).

Alaminos: Mons. Cabrera, vescovo della diocesi.

Cordillera (nelle provincie montane di Luzon):
Militanti e dirigenti del CPA (Cordillera People Alliance).

Isola di Negros:

Bacolod:
Dirigenti del Sindacato tagliatori di canna da zucchero.
Mons. Fortiche, vescovo di Bacolod, la diocesi più grande dell’isola; alcuni preti di parrocchie di campagna; il rettore del Seminario.
Cooperativa di Contadini.
Centro di addestramento agricolo alternativo alle canne da zucchero.

Escalante:
La Parrocchia, che è tenuta da Benedettini belgi: sono in zona da più di 30 anni.
Esponenti delle comunità cristiane di base.

Isola di Cebù:

Preti salesiani che dirigono un Centro di formazione professionale.

Isola di Samar:

La dirigente del movimento femminile del partito Bayan: è un avvocato impegnato nella difesa dei diritti umani.
Gruppo di prigionieri politici nella locale prigione civile.
Esponenti di una comunità cristiana di base.
Cooperativa di pescatori.

 

2. Note di viaggio


Manila
Vicino al mercato delle Erbe nel centro di Manila, sull’affollato marciapiede di fronte ad un grande magazzino di scarpe, una tenda e degli striscioni. Parliamo con una donna, N.G. di 27 anni. Lei ed i suoi compagni di lavoro sono al terzo mese di un picchettaggio con cui sperano di ottenere il riconoscimento del loro sindacato.
Stanno lì 24 ore al giorno. Lì mangiano, dormono, riparandosi con tende di fortuna. Fanno tutto il possibile per impedire sia l’ingresso di merci che di persone.
Guardie di sicurezza pagate dall’impresa e a volte anche la polizia, cercano di rompere il blocco, ma se c’è un numero abbastanza grande di scioperanti, questi riescono a mantenere le posizioni.
I lavoratori si mantengono con i soldi che lasciano i passanti, un po’ di aiuto dalle famiglie e col sostegno che riescono a dar loro i sindacati. Scendere in sciopero è un grosso impegno e può significare esporsi anche a gravi violenze o perdere il posto di lavoro.
Spesso le imprese aggirano l’ostacolo cessando l’attività o aprendole altrove sotto altro nome.
Colpisce la giovane età, l’impegno e la preparazione dei militanti di base. Dopo la caduta di Marcos possono agire più liberamente. Ma sono continuamente a rischio di essere arrestati o addirittura fatti fuori.
Ci siamo domandati spesso, in caso di una loro visita in Italia, a chi e come rivolgersi per dar loro un quadro nazionale e locale della nostra situazione, così come lo abbiamo ricevuto noi.


Il 1° maggio 1980 è stato Fondato il Kilusang Mayo Uno (Movimento 1° maggio). È una Centrale sindacale a carattere nazionale. Comprende 7 Federazioni, sindacati indipendenti, e affiliazioni di altre federazioni. In tutto una forza di 250.000 operai.
Ha guidato la lotta per i diritti economici e politici dei lavoratori ed è tra i fondatori della “Unione dei lavoratori filippini” che riunisce dieci Federazioni ed alcuni grandi sindacati indipendenti (qualcosa come 2 milioni di lavoratori).


Silay (isola di Negros)
La tensione e la violenza si respirano nell’aria mentre camminiamo dietro la bara di Amado Cayao, ucciso due giorni prima, nella piantagione di canna da zucchero dove lavorava. Era segretario del sindacato dei lavoratori della canna di Silay City.
La chiesa è piena di gente. Sulla bara un drappo verde, su cui è scritto “militante”, il bolo (una specie di machete), ed una canna da zucchero, ancora verde, spezzata.
Dico la messa insieme ai 2 preti della parrocchia. Sono abbastanza nervosi. L’impressione è che abbiano fretta di finire ed andarsene.
È ciò che fanno dopo la benedizione.
Il vero funerale è al cimitero. Lì parlano tutti: Serge, segretario del sindacato dell’isola, la moglie ed il fratello di Amado, due compagni del sindacato della Fazenda dove lavorava.
Lì vengono fatti i nomi e cognomi di chi lo ha ucciso e di chi ha pagato gli assassini.
Lì viene preso l’impegno di continuare la sua lotta.
Poi, Serge alza il pugno e comincia a cantare l’Internazionale.


Bacolod (isola di Negros)
I compagni del sindacato ci accompagnano dal vescovo Fortiche.
Da quando gli hanno bruciato la casa vive nel seminario della diocesi. Ha 75 anni. Le comunità cristiane di base sono la pupilla dei suoi occhi. Ha fatto suo, ci dice, il grido del popolo: “Dateci la terra”.
Sui muri del seminario ci sono delle scritte in rosso: “A morte Fortiche”, “Fortiche comunista”.
Nell’isola viene progressivamente attuato il “Low Intensity Conflict”, conflitto o guerra di basso profilo: una strategia messa a punto dal Pentagono ed applicata per la prima volta in America Centrale nel 1981.
Il manuale “Training and Doctrine Command” ne parla come di un metodo per arrestare l’insurrezione attraverso una “limitata campagna politica e militare mirante a raggiungere obbiettivi politici, sociali, economici e psicologici”.
Principale strumento di questa guerra, oltre all’esercito, sono le formazioni di estrema destra dei “vigilantes”. Il loro compito: l’eliminazione fisica dei leaders e dei militanti di base.


Catbalogan (isola di Samar)
— La prigione civile ci ricorda quelle che vediamo nei film western.
Ci accompagna un avvocato, una donna di 50 anni, della commissione di difesa dei diritti umani e dirigente del movimento femminile del Bayan (Partito del popolo).
Il parlatorio è una tettoia con delle panche. A pochi metri la recinzione, dove si affacciano, curiosi, gli altri detenuti.
Parliamo con 15 di loro. L’avvocato ha assunto la loro difesa. Sono tutti pescatori e contadini. Uno è un ragazzo di 11 anni.
Arrestati durante un’azione di repressione dell’esercito contro la guerriglia, sono passati dalla prigione militare a quella civile in attesa di processo. Tutti hanno subito torture.
Ognuno racconta storie di ordinaria oppressione.

Ad un vecchio pescatore, socio della cooperativa di cui siamo ospiti, ho domandato delle sue condizioni di vita. Mi ha risposto “Quando avevo 15 anni con una giornata di lavoro, si compravano riso, sale e pesce; oggi si compra riso e sale”.
Intorno a noi per chilometri, palme da cocco. La piantagione.

 

3. Riflessioni

a) Ciò che abbiamo capito

La nostra ignoranza sulle tradizioni di lotta e di resistenza del popolo filippino.
Dall’uccisione di Magellano da parte del capo Lapù-Lapu, alle più di 200 rivolte organizzate nei quattro secoli di dominazione spagnola, alla resistenza durante i 50 anni della dominazione statunitense, a quella di oggi.
— La non sufficiente informazione sull’ampiezza e l’importanza del movimento di opposizione popolare, da quello armato del NPA (New people’s army) clandestino, a quello “legale” non clandestino. Quello che qui chiamano “potere popolare”.
Queste 2 “ignoranze” impediscono di costruire basi serie per l’internazionalismo.
— La facilità con cui cadiamo nell’inganno proposto da mass-media occidentali, che mettono sullo stesso piano il problema Dittatura – Democrazia e quello della presidenza Ferdinando Marcos – Corazon Aquino, senza indicare i nodi strutturali politici ed economici che impediscono un reale processo di democratizzazione.

b) I nodi politici sono 3


1° Il potere dei Militari

L’esercito Filippino è formato da 170.000 unità a cui vanno aggiunti altri 100.000 uomini, con l’integrazione delle varie Forze di polizia locale in una unica organizzazione nazionale di Polizia, e la creazione delle Forze di difesa civile.
L’esercito è il principale strumento di repressione popolare, non solo verso i comunisti e la guerriglia ma anche contro le forze di opposizione “legali”. Dagli operai, ai contadini, alle classi medie.
Il suo potere politico è notevolmente aumentato durante il periodo della Legge marziale.
L’esercito e i suoi leaders non sono disposti ad accettare una diminuzione di “ruolo di governo”.
La prospettiva più preoccupante è quella di un “golpe” strisciante. Significa che la dirigenza militare ottiene ciò che vuole sul piano delle politiche e del potere di governo, non con un’azione improvvisa e drammatica, ma con un’opera costante e con il tacito consenso dei leaders civili.


2° Il perdurante dominio dei “clan” politici

Un “clan” è un esteso sistema familiare, economico e clientelare.
I dirigenti di questi clan appartengono allo stessa classe (proprietari terrieri e borghesia mercantile). Il loro modo di agire, il nocciolo della loro coscienza politica, non è tanto l’interesse generale di classe (ad es. contro la sfida della classe operaia o delle organizzazioni delle classi medie), ma l’interesse della fazione a cui appartengono.
Nelle 2 ultime elezioni (parlamentari e amministrative) su 198 candidati eletti al Congresso, 129 appartengono ai clan tradizionali. Altri 38 sono imparentati con questi.
L’attuale coalizione al potere è formata dai clan Cojuangco – Aquino – Sumulong.


3° Il dominio degli Stati Uniti d’America

— Questo dominio, abbastanza conosciuto, è considerato da noi più un ostacolo alla indipendenza e sovranità delle Filippine che non alla sua democrazia.
Ma non è così. Ci sono influenze dirette che contano contro il processo di democratizzazione.
— L’influenza e la dipendenza logistica dell’esercito filippino dal Pentagono. L’orientamento di fondo dell’esercito filippino è il filoamericanismo e l’anticomunismo, secondo la visione che il governo USA ha del mondo.
— Il sostegno al sistema bipartitico, che è anche la forma più accettata della politica partitica, da parte dei clan politici, perché permette il controllo ed il mantenimento del loro potere elettorale. Non offre nessuna possibilità di affermazione elettorale ad un terzo partito che rappresenti gli interessi delle classi medie o delle classi subalterne.
— L’influenza più pericolosa è l’incoraggiamento e la promozione dei gruppi di “vigilantes” in nome della lotta contro l’insurrezione.
Non contenti di averle emarginate elettoralmente, i militari e gli USA cercano di sopprimere e di terrorizzare le organizzazioni e alleanze popolari (sindacati, cooperative, comunità cristiane di base, organizzazioni contadine), che sono state il canale di partecipazione democratica, attraverso cui le classi subalterne e le classi medie hanno potuto esprimere le proprie aspirazioni. Il canale attraverso cui il comune filippino è riuscito ad evadere dal rapporto padrone – cliente che lo lega alle élites del paese.

c) Nodo economico

Da quello che abbiamo capito si può riassumere così: le prospettive di una democratizzazione economica sono assai poco probabili; questa richiederebbe un attacco diretto alla base economica-politica dell’economia filippina.
Il governo Aquino dipende dal sostegno delle classi tradizionali e dal governo degli Stati Uniti. Come può aggredire il problema del sottosviluppo del paese?
Un esempio: l’immagine che i dirigenti economici del governo Aquino offrono sui mercati internazionali del credito, è che il paese pagherà fino all’ultimo centesimo il debito estero che ha ereditato dal regime di Marcos. Con questa formula il paese ha pagato al mondo sviluppato 2,1 miliardi di dollari nel 1987.
È previsto che dal 1987 al 1992 il paese trasferirà all’estero un totale di 18,2 miliardi di dollari destinati ai creditori.

d) Conclusione

La forza principale della democrazia nelle Filippine è il movimento popolare che ha un nucleo di 3 milioni di filippini e filippine.
“Se consideriamo gli elementi del governo e dei partiti come dei partecipanti aggiunti ad un processo di democratizzazione che è portato avanti da milioni, abbiamo un più realistico terreno per la speranza” ci ha detto Ed Dela Torre, uno dei più brillanti teologi filippini. Incarcerato più volte sotto Marcos, dirige ora l”lstituto per una democrazia popolare”.
C’è una poesia del filippino Karl Gaspar, che si adatta bene ai militanti che abbiamo conosciuto:

“Beati coloro
che sognano sogni
e sono pronti
a pagare il prezzo
perché i loro sogni
divengano realtà”.


Renzo Fanfani


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