Frammenti di vita


Scrivo volentieri qualcosa della mia esperienza. Non di un passato. È un avvento che mi è venuto incontro. Un Natale che porto con me. Una rinascita che mi ha spinto in avanti. Lo faccio con profonda gratitudine a quel Dio della storia che commuove, che apre il cuore, la mente, le energie e a quei tanti uomini e donne che hanno fatto e che fanno la mia storia, che formano le mie ossa e che rendono il mio “cuore sempre più di carne, non di pietra” (Ezechiele).È per me anche un’occasione per rivisitare con tenerezza e gratitudine un pezzo di strada e riconoscerne ancora meglio l’importanza. Era il momento giusto e la mia ricerca di uomo e di prete che aveva bisogno di incontrare, conoscere, e soprattutto rientrare nel vivo della vita reale e concreta mi portò un giorno ad Empoli, da Renzo… Avevo voglia, e bisogno di sperimentarmi capace anch’io di stare a questo mondo con diritto, ma la modalità – non può essere che così – mi era del tutto sconosciuta. Tant’è vero che subito, la prima cosa che mi mandò in tilt fu la sconcertante novità nel sentirmi dire: “Compagno, guardati intorno, assapora questa novità, non aver fretta…VIVI!”. Di fronte alla libertà disarmante di quell’uomo cominciai ad intuire che qualche liberazione era in corso: vivere la vita nelle sue dinamiche più concrete e quotidiane era tutto da scoprire. Io pieno di ideali, di impegni (in parrocchia non avevo una sera libera), di prediche, di studi, che pure mi piacevano, dovetti pian piano imparare a riconoscere quanta struttura ecclesiastica avevo addosso. E subito la crisi: ma allora chi sono se non celebro, se non ho gruppi, se non predico… ? Iniziò così un lungo cammino, una scuola di spoliazione (il mio noviziato), di liberazione, di semplificazione, di umanizzazione che mi aiutò progressivamente a prendermi in mani e a gestirmi con più libertà. Sì, era il momento giusto, un po’ come dice il proverbio buddista “II maestro arriva quando il discepolo è pronto”. Tra i tanti, tre incontri segnarono quell’esperienza e sono tuttora fondamentali: una visione ampia del mondo, la laicità e il lavoro.Casa Renzo e dintorni è stato l’incontro con la visione del mondo che mi mancava. Politica, sociale, territorio, quartiere, ambiente, giustizia, passione, partecipazione… tutte cose di cui sentivo parlare, che erano anche un po’ dentro di me ma in modo latente. Lì mi sono lasciato toccare, ferire; ne sono uscito guarito: esse mi appartengono e non ne posso fare a meno come il Vangelo. A pranzo e a cena, mentre mi incazzavo perché non c’era niente di pronto per mangiare o perché le cose non le trovavo al loro posto (proverbiale e divertente il suo ordine sparso nonostante le cure di Carla), con partecipazione lui mi parlava di quello che stava combinando il governo, della guerra imminente, di un ragazzo che si era suicidato. Il mondo era vissuto lì, tra noi, in quella casa che sapeva di vissuto. E pensavo al convento “asettico”. No, mi dicevo, questo cerco, mi ci voleva; questa visione ampia del mondo e nello stesso tempo localizzata (oggi si direbbe: “pensa globalmente e agisci localmente”) l’ho recuperata ed ora è anche un po’ più mia.In fondo mi è sempre piaciuta la laicità. Il “biondo Gesù” (secondo Renzo) era laico, amava stare e farsi vicino alle persone, toccarle, amarle, vivere con loro. Non voleva che la sua “autorità” fosse di impedimento all’incontro con Dio. Ecco, in quella casa, in quei tre anni ho riscoperto la bellezza e l’importanza della laicità. Spesso e volentieri un bell’andirivieni in quella casa. Per tanti, forse la vera casa del popolo che non si contrapponeva affatto a quella poco distante, anzi si completava bene. All’inizio non mi fu facile, abituato com’ero a parlare solo di collaborazione con i laici, a vivere normalmente con loro, con chiunque entrava in casa. Eppure tra paure, prove, ho imparato ad abitare pian piano volti, esperienze e condividere da uomo, da laico, il loro cammino.La laicità per me è la capacità di vedere la vita con meno “filtri” possibili, con gli occhi “vergini” del cuore che sa guardare le cose così come sono, prima di interpretarle. Sul tavolo della cucina fin dai primi tempi (quando non c’era Carla) ho visto giornali politici, riviste culturali, articoli del Comune, fax della Paola Sani per le politiche giovanili… non sapevo potessero essere interesse di un prete! ma tutto questo mi piaceva. Quanta saggezza, quanta onestà in quella “chiesa dei giusti” che pensano, ricercano, si espongono, hanno a cuore la città, il mondo e le sue sorti.
Mi è piaciuta subito fin dall’inizio la casa, ospitale ed essenziale allo stesso tempo. Respiravo un clima caldo e tenero, ma nello stesso tempo austero, non accomodante. la presenza di Carla si sentiva in ogni oggetto della casa e nell’impostazione. Maschile e femminile erano presenti e si armonizzavano bene. Per me è stato importante: anche in me questi due elementi, che portiamo uniti dentro di noi, hanno potuto esprimersi ed essere vissuti. Mi colpì l’interesse al dialogo, alla lettura, al bicchiere bevuto insieme piuttosto che stare incollati davanti al televisore, che tra l’altro non c’era. Una struttura essenziale, uno stile di vita sobrio, un approccio laico, furono ingredienti fondamentali per lievitare la fiducia in me e nello Spirito che guida uomini e donne coraggiose nel cuore delle sfide a continuare il sogno di Dio perché il mondo sia per tutti la casa ospitale.Un, incontro senz’altro nuovo fu con il mondo del lavoro. Mi ricordo la titubanza iniziale, se non l’imbarazzo a trovarmi insieme a discorsi, frasi, battute, argomenti su cui stentavo a mettermi in gioco perché non nella linea “teologico-spirituale”! E la sorpresa a trovarmi a fischiettare contento nell’andare e ritornare dalla vendemmia, dal frantoio (non proprio quando sono andato a finire nel fosso) o imprecare contro il padrone e i suoi “cani” durante il lavoro in fabbrica alla Revet o alla Sammontana; o gioire con i piccoli, i poveri, quei prediletti dal Signore perché “non hanno da ricambiarti” direbbe il “ biondo” ma che ti danno tanta saggezza e amore gratuito lì tra i ragazzi della Mimosa, la cooperativa sociale. Mi sentivo come tutti gli altri. Il lavoro è palestra formidabile, di formazione. L’essere dipendente, lo spirito dentro la materia, la trasformazione, gli scontri, le lotte, i volti, le fatiche…
Ho conosciuto e rivalutato la storia del movimento dei PO come scelta ministeriale, anche se la storia ha chiesto apporti di cambiamento, di novità e creatività. Ho avuto la fortuna di conoscere il movimento attraverso incontri europei ed internazionali. Da vicino ho apprezzato Renzo e Carla in modo particolare.
Ora mi trovo a Caserta con un compagno. Abbiamo scelto entrambi di entrare a contatto con questa nuova, anzi nuovissima e particolare realtà attraverso il lavoro. Volutamente non abbiamo chiesto un “pulpito”, ma la strada della fatica che fanno tantissimi altri di cercare casa, lavoro e inserimento… proprio qui dove tutto questo è estremamente faticoso e spesso scoraggiante. Ci piace riconoscere in questa scelta la “legge” dell’incarnazione, della “zolla di terra dentro cui c’è l’umanità” (Sirio Politi), in cui la lotta si fa amore perché si sa che ogni cambiamento parte da lì, dall’amare.
Volti, persone, storie, incontri, scontri, luoghi (Tinaia, Pagnana) mi scorrono davanti con commozione, profonda gratitudine e anche bisogno di scuse, riconciliazioni di cui vorrei parlare ancora a lungo: sono dentro di me. Una casa-scuola che mi ha accolto, liberato un po’ di più. Ho potuto sostare e ricevere la libertà di andare oltre.

Pierangelo Marchi


 

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