IN QUESTO MONDO A RISCHIO
QUALE CHIESA?
Bergamo / 13 giugno 2015
Contributi
Proprio in questo mese e precisamente il 28 giugno di 50 anni fa, diventavo prete.
Come sia riuscito a raggiungere questa meta non lo so “ robe da matti” scriveva un mio coetaneo di Bonate Sotto.
So che certamente lo Spirito del Signore mi ha accompagnato e sostenuto in momenti critici
Sono uscito dal seminario come Alter Christus (ontologicamente diverso dagli altri dopo l’ordinazione, secondo la concezione teologica del tempo) e ora sto scoprendo con gioia di essere uomo di confine, non più al centro
Posso dire che tutto ciò che è accaduto in questi 50 anni è frutto di scelte, sofferte a volte, ma scelte pensate e condivise con il Vescovo Gaddi, che rimane il mio Vescovo dal quale ho avuto sempre fiducia e sostegno. E scelsi sempre le persone e sempre meno il ruolo.
Durante il mio servizio in parrocchia di Bonate Sotto come direttore di Oratorio mi resi conto che avevo bisogno di approfondire la capacità di leggere la vita di ogni giorno a confronto con le Scritture di cui avevo un’infarinatura dal Seminario. Ma non bastava quindi scelsi di recarmi ogni anno a Bose per due settimane bibliche, guidate da Enzo Bianchi che allora stava avviando una comunità di monaci . Furono momenti di vero rifornimento per la vita personale e di comunità Accostarsi alla Parola a partire dalla vita
Furono anni molto vivaci sotto un profilo sociale e politico e questo mi richiese una costante disponibilità all’ascolto delle persone, operai in prevalenza pendolari su Milano Sesto S. Giovanni.
E quindi della Dalmine. Tutto ciò divenne un’occasione di maturazione come uomo e come prete.
Dopo dieci anni di attività pastorale manifestai al Vescovo Gaddi la necessità di fermarmi e cercare di orientarmi nella vita futura e mi trovai a Milano tramite convenzione tra le diocesi, a occuparmi di immigrati che allora erano quasi tutti provenienti dal Sud Italia. Ebbi occasione di incontrare diversi preti al lavoro o comunque impegnati nella vita comunitaria nelle più svariate condizioni.
.In seguito nel 1977, su invito caldeggiato di alcuni laici qualificati, iniziai a occuparmi di un progetto regionale per la formazione professionale a fini di integrazione lavorativa di persone con disabilità. E ciò avvenne proprio nella mia valle bergamasca di origine. Tale scelta non rispondeva totalmente agli schemi pastorali del nuovo Vescovo, Oggioni ,ma era condivisa intensamente da diversi laici della diocesi di Bergamo, credenti e no, , ricchi umanità e di preparazione professionale. L’esperienza divenne coinvolgente e arricchente umanamente e professionalmente. Il rapporto con la persona disabile ti restituisce alla tua umanità fragile e bisognosa di relazioni vere tra le persone e con il tuo ambiente di vita.
Durante le ferie mi recavo in centro America dove trovavo la conferma della fecondità di comunità che si sostenevano nella fede, pur tra tante ristrettezze, confrontando la vita concreta con le Scritture. Una prova di una Parola incarnata nella storia.
Il lavoro durò per 21 anni fino alla pensione, quando mi fu proposto di fare il Parroco in una piccola parrocchia, Bondo Petello di Albino, dove già mi recavo a celebrare ogni domenica in una chiesetta periferica. Accettai e divenne per me un campo dove spendere la ricchezza di relazioni vissute con i disabili e le loro famiglie
Nel 1992 scelsi in modo consapevole di condividere con il Vescovo Tonino Bello la marcia a Sarajevo , città allora ridotta a un campo di concentramento, dove neanche l’ Onu poteva entrare dopo un certo orario di sera e da allora sia personalmente che come comunità ci sentimmo coinvolti nel progetto di solidarietà nei Balcani.
Come delegato della Caritas di Bergamo avviai un progetto di relazioni interreligiose, sia a Kakanj, una cittadina bosniaca, e quindi a Sarajevo. Una vera miniera di relazioni e di sorprese nel cammino di conoscenza e di scambi fino allo svolgimento di un convegno interreligioso a Bergamo.
Nel 2010 la salute ha preso le distanze dal mio cammino e ora vivo in una casa di accoglienza della Caritas. Sto diventando uomo di confine, non più al centro, ma sulla soglia, nella condizione di ospitare ogni altro che sia in cammino.