Memorie vive:
Armido Rizzi (1)


 

Giovedì 20 agosto nella chiesa di S. Barnaba abbiamo dato l’ultimo saluto ad Armido Rizzi, il teologo nostro amico che dal 2007 viveva a Mantova. Dal 1980 aveva abitato con i suoi familiari a Fiesole in una villa donata ai padri Turoldo e Vannucci con il vincolo di farne un luogo di incontri di carattere culturale, di formazione, di accoglienza e di ospitalità. A lui avevano affidato questo compito. Nacque così il Centro di S. Apollinare nel quale presero forma í tre elementi chiave della sua vita: il servizio della parola, la povertà evangelica, la vita comunitaria. Nei 27 anni di attività centinaia di persone hanno fruito dell’ospitalità e della ricchezza della sua parola. Da lì lui partiva per il ministero itinerante presso comunità e gruppi di base sparsi per l’Italia. Invece che parlare di lui preferisco riportare una sua parola, tratta da una sua breve autobiografia che riporteremo per esteso sul prossimo numero, da cui traspare l’aria che si respirava su quella collina di Fiesole, che stava per lasciare, e dove risuonava, come lui ebbe a dire, “quella teologia biblica in cui avevo vissuto e su cui sto ancora lavorando”.

 

Accoglienza e messianismo nella vita quotidiana

Molte persone sono venute a stare con noi, alcune per poco tempo, qualcuno per qualche mese, qualcuno anche per anni. Più a lungo di tutti è rimasto un senegalese, per più di sei anni. Ricordo una notte di Natale, in cui abbiamo riunito gli amici che erano passati da noi (almeno quelli che erano ancora vicini a Firenze): erano rappresentati quattro continenti (non c’era ancora l’australiano, che è venuto dopo!). C’erano cristiani (cattolici, protestanti, anche un ortodosso), un ebreo israeliano, grandissimo amico, un musulmano credente, marocchino, e poi una famiglia di bosniaci, musulmani etnicamente, in realtà atei, scappati dalla loro terra negli anni 90.

Sant’Apollinare è stato il tentativo di realizzare, in nuce, quella circolazione dei beni che avevo chiamato il messianismo nella vita quotidiana. Il bene di una casa in cui alloggiare e trovare un po’ di pane, per chi ne aveva bisogno; e il bene di quell’altro pane che è la Parola di Dio e il lavoro di scavo dentro di essa…

La teologia alimenta la vita, la vita alimenta la teologia

In questa circolazione di gratuità, in questo luogo dove ho visto che poteva essere tentata la realizzazione del messianismo nella vita quotidiana, al tempo stesso abbiamo avuto anche l’opportunità di imparare dalle persone ospitate. Quindi la teologia che alimenta la vita e la vita che alimenta la teologia. E voglio concludere con questa idea dell’imparare, soprattutto col ricordo di questo senegalese, venuto alla fine del 2000, musulmano, analfabeta (perché la sua famiglia era così povera che non aveva potuto neppure mandarlo a scuola per imparare a leggere e scrivere), e per di più affetto da un fenomeno di dislalia, che fa sì che parli così malamente da rendere difficoltosa la comprensione di quel che dice quando si esprime in italiano. Si chiama Abdou (abbreviazione di Abdullah, che in arabo significa “servo di Dio”, ed ha il corrispondente nell’ebraico “ebed eloìm”).

Dopo un po’ di tempo che era con noi, forse un paio d’anni, con circospezione, con rispetto (non si poteva certo fare un dibattito teologico con lui, sarebbe stato offensivo nei suoi confronti), un giorno a tavola gli ho chiesto: “Senti Abdou, nel vostro paradiso, ci andate solo voi musulmani?”. E lui mi ha risposto: “No, ci vanno tutte le persone buone”.
Io mi sono detto che c’è voluto il Vaticano II perché noi arrivassimo a dire questo, cioè che al mistero di Cristo, al mistero pasquale, sono associati non solo i “Christifideles“, quelli che credono in lui, ma tutti gli “uomini di buona volontà… in un modo che solo Dio conosce”, perché lo Spirito lavora anche nei loro cuori (paragrafo 22 della Gaudium et Spes).

Abdou non sa nulla di tutto questo: l’ha imparato dalla vita. È importante, quindi, non solo vivere in modo che gli altri vedano la tua testimonianza, ma saper accogliere anche la testimonianza che ti viene dagli altri, nella consapevolezza appunto che il Dio di Israele e il Dio di Gesù Cristo non è il Dio di due popoli, di due Chiese, ma è il Dio di tutti gli uomini”.

A cura di
ROBERTO FIORINI


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