Caleidoscopio


 

Queste pagine sono la prova che l’opera di don Cesare Sommariva continua: non si tratta soltanto di un’opera di presenza attiva e trasformatrice in mezzo al proletariato urbano; si tratta prima di tutto di un’elaborazione del pensiero che si sviluppa dinamicamente a partire da quella presenza. E tutta la vita di don Cesare è stata un infaticabile intreccio di pensiero e di azione a favore delle classi subalterne. Ho ascoltato il contenuto di queste pagine per la prima volta al seminario di fine anno dei coordinatori dei vari Centri di Cultura nati grazie all’opera cesariana nelle periferie milanesi a partire dal 1970; ho osato ripresentarle al primo incontro dopo l’estate 2009 dei PO lombardi.
Sono pagine molto importanti, non soltanto come prova consolante che — appunto — l’opera di don Cesare continua; ma soprattutto perché contengono una prospettiva dinamica ricca di speranza: “una prospettiva che non mente sulla realtà dell’orrore” (ed è la nostra realtà di oggi e, probabilmente, del futuro più prossimo); ma che contemporaneamente “non chiude nel pessimismo radicale le volontà di lotta di chi ancora non si è arreso”. Di uno sguardo così abbiamo bisogno tutti noi.

Luigi Consonni


 

IN COOPERATIVA DI CULTURA POPOLARE
“DON LORENZO MILANI”
SI PENSA QUESTO

Vale la pena ripensare a dove siamo e a dove ci collochiamo. Il fatto che proponiamo “come modello di intervento la crescita di una comunità, perché sia seme e moltiplicatore, metodo riproducibile o almeno visibile di rapporto con la gente e con il futuro” è una cosa che deve tenere conto della mutata situazione globale. E soprattutto tener conto della conseguente mutazione antropologica, che in realtà è un fine della mutata situazione globale.

1. LA FORMA ANTROPOLOGICA IMPOSTA

a) “L’economia è il metodo, lo scopo è cambiare l’anima”:
questa era la formula del progetto neoliberista della Thatcher.
• Quel “metodo”, cioè quella economia, ha prodotto sempre più poveri, abbandonati, diseredati, espropriati, flessibilizzati, licenziati… e sempre meno ricchi, con sempre più soldi nelle tasche, ville, yacht, paradisi fiscali…
Dal punto di vista dello “scopo”, cioè del “cambiare l’anima” delle persone c’è una nuova forma antropologica che viene imposta dalle classi dominanti.
C’è un mutamento antropologico in atto. Già lo dicevamo nel 1999:

Tutto diventa merce. Il denaro e il consumo diventano gli unici, miseri, scopi della vita.
La dittatura neo-liberista origina una vera e propria mutazione antropologica.
L’acquisto/vendita di forza lavoro, offerto in quantità sempre minore, in forme sempre più precarie, in condizioni retributive sempre più modeste, perde sempre di più la capacità di strutturare l’identità personale dell’uomo lavoratore. La politica, appiattita alla pura e semplice gestione degli effetti disastrosi del modo di produzione capitalista con la morale del “fine che giustifica i mezzi” (chi vince ha ragione), diventa incapace di rappresentare una autocoscienza sociale e di governare la massa.
Per cui il caos è e sarà sempre maggiore. La mutazione antropologica in atto, l’imbestiamento progressivo delle relazioni e dei ragionamenti, prodotti dal MPC (modo di produzione capitalista), è incompatibile con le condizioni minime della convivenza sociale e del riconoscimento intersoggettivo. C’è un’etica delle persone che è “vera”. La persona umana è fatta per essere soggetto. Quando è trattata come oggetto, come merce, allora…

Ogni bambino, ogni giovane, ogni adulto, ognuno di noi… qui nel Nord del mondo, nasce, cresce, vive, cammina, lavora, studia, parla, ama, dorme… in un contesto predisposto per formare un tipo di uomo.

b) La forma antropologica nella società globalizzata
• Al tempo in cui nacque l’intervento culturale
– fabbrica di massa, a pieno tempo e per tutta la vita (full time — full life);
– partito di massa, con profonde radici di lotta;
– sindacato con militanti di base quasi “missionari”
erano ancora le tre grandi scuole di pensiero e di identità dell’operaio (l’operaio-massa di cui parlava Gramsci) e del proletario in genere: tre “luoghi” di aggregazione collettiva e di formazione che non esistono più.

• L’adesso è caratterizzato dal passaggio da massa a moltitudine.
L’uomo-massa (l’operaio “fordista”) sta scomparendo. Si sta sostituendo ad esso la moltitudine mobile.
La “moltitudine” è la nuova forma antropologica della società globalizzata.

La società del post-fordismo dissolve le appartenenze e le dinamiche in cui ci si sentiva tutti in uno: l’idea di appartenenza a una classe sociale entra in crisi.
Anche l’altro polo di identità, che ha segnato il Novecento entra in crisi: l’appartenenza di popolo. Lo Stato-nazione e i suoi processi identitari sono a loro volta sottoposti a dissolvenze e a crisi. Il rischio a cui l’essere sociale è sottoposto è quello di smarrire il senso di sé. L’essere moltitudine sottrae ciò che era abituale: appartenere, rappresentare, rappresentarsi.
Questo avviene perché, nell’epoca dello sradicamento, comunità e classe sono ormai luoghi sociali affievoliti e indistinti…
Essere moltitudine è quindi la forma dell’essere sociale spaesato di fronte al mondo come luogo da percorrere e i sentimenti che caratterizzano questa forma sociale, più che dal senso di rivolta e conflitto, sono segnati da paura e angoscia.
I linguaggi che caratterizzano la moltitudine, più che linguaggi forti e ideologici, sembrano essere gli idoli, che altro non sono che il depotenziamento dell’ideologia. Tre idoli:
– l’idolo dell’indifferenza,
– l’idolo dell’individualismo proprietario,
– l’idolo della competitività.
In questo contesto, la coppia uguaglianza / disuguaglianza lascia il posto a inclusione / esclusione. L’uguaglianza — questa parola potente che ha attraversato i secoli agitando le migliori passioni degli uomini — sembra avere esaurito la sua forza…
Ora, la mia lotta per l’inclusione non è una lotta per l’uguaglianza, ma, al contrario, per rimuovere gli ostacoli posti allo sviluppo della mia libertà.

Tutto diventa mobile: sopravvivenza, lavoro, territorio…

• Si vedono alcune conseguenze di tutto ciò:
Tre conseguenze le nominammo con queste parole:
– la confusione dei pensieri, il disordine mentale, l’insignificanza degli argomenti di ragione, con invece la prevalenza di elementi di ipnosi collettiva, dì magia privata, di dipendenza da leader;
– l’a-nomia della maggioranza;
– il fondamentalismo dei pochi.
Oggi vogliamo mettere particolarmente in evidenza che il vivere in questa società esige l’assoluta indifferenza riguardante gli atti e le loro conseguenze che il nostro vivere comporta. Uno deve agire come piccola rotella in un immenso ingranaggio che stritola l’umanità, per cui l’unico sentimento è vittoria o sconfitta, che uno si costruisce sulla base della più impermeabile indifferenza…
L’incapacità dei sentimenti è una delle prime cose che appare nell’uomo “post moderno”. I sentimenti soggettivi debbono essere repressi. E neppure possono essere espressi i sentimenti più profondi che uno ha messo a fondamento della sua personalità.
Questo significa una crescente incapacità di sentimento, una progressiva freddezza del cuore, una indifferenza nei rapporti con gli uomini e con le cose.
È tutta la famosa questione che dicevamo dell’insegnare ed imparare ad uccidere senza rimorso.
Le sensazioni forti; l’eccitazione immediata e superficiale, che afferra all’istante e rapidamente svanisce, senza avere né profondità né durata; le emozioni violente, sono il sostituto che viene fornito all’autentico sentimento…

2. IMPARARE A VEDERE LA MUTAZIONE ANTROPOLOGICA

Questa mutazione antropologica dobbiamo imparare a guardarla, vederla, farci i conti… ricercare, insomma.

a) La condizione oggettiva
Occorre “salvare le banche” è l’ultima moda di un pianeta in cui l’ideologia dominante è sempre più asservita al capitale. Dicono che è in atto una “crisi”… ed è vero: è in atto un processo di radicale riorganizzazione della contraddizione capitale-lavoro, a fronte di una crisi di sovrapproduzione iniziata 40 anni fa.
Il peggioramento delle condizioni imposte a quelli sotto qui da noi si traduce in flessibilità, licenziamenti, casse integrazioni, migrazioni…
Remigio (uno degli ultimi full time – full life) scriveva qualche settimana fa (primavera 2009):

Lavoro da più di 30 anni in questa ditta: un consorzio di artigiani cabiatesi (Cabiate, Brianza) che per statuto non può avere utili. Commercializziamo autonomamente i loro prodotti, mobili di legno in stile, in tutto il mondo. Il mercato di riferimento è quello che si dice medio alto. Tra alti e bassi le cose sono sempre andate bene, tranne negli ultimi 2 anni, quando tra cambi di direttori, altre spese e investimenti sbagliati hanno accumulato un bel deficit. Da dicembre 2008 a tutt’oggi c’è stato un crollo degli ordini e del fatturato del 50% circa. Gli ordini in produzione pagati a metà non vengono saldati. Le banche non fanno credito. A fine febbraio non ci sono più soldi per pagare le tratte in scadenza. Si chiude? Si licenzia? No. Noi facciamo ferie e permessi fino al salone del mobile di fine aprile, mentre la ditta ottiene un finanziamento dando in garanzia parte dello stabile. Si respira, ma si naviga a vista. La situazione è generale, riguarda tutto il settore (e non solo) della Brianza.

C’è, dunque, una condizione oggettiva, fatta da condizioni imposte…

b) La situazione soggettiva
Ma poi c’è una situazione soggettiva, cioè come reagisce le gente davanti a questa condizione oggettiva. È soprattutto su questo aspetto soggettivo, culturale, che dobbiamo interrogarci.
Cosa dicono, cosa pensano, che reazioni hanno, ad esempio,
• un lavoratore giovane precario in una cooperativa che si occupa di logistica un giorno qui, un giorno là, un giorno a casa;
• o le “signorine del pullman” e gli educatori “co.co.co”, che non sanno se a settembre lavorano;
• o l’operaio in contratto di formazione che lo licenziano per una settimana per non essere obbligati a dargli un contratto definitivo;
• o i giovani muratori sempre più in nero;
• o gli operai “costretti” a fare 60 ore una settimana e quella dopo niente, “perché c’è la consegna… e poi non c’è lavoro”: cosa pensano di fronte al problema del comprare casa?
• E un operaio di trent’anni con un figlio sul gobbo, quando la sua ditta in 3 mesi ha fatto 6 settimane di cassa integrazione… come dorme la notte?
Tutto diventa mobile, flessibile… Gli adulti con condizioni definite, con una identità formata, se la trovano davanti questa realtà… I giovani, invece, ci sono cresciuti dentro…

3. L’ESSERE UMANO CHE VOGLIAMO COSTRUIRE

Di fronte a questa mutata situazione globale oggettiva e soprattutto soggettiva, noi ci siamo assunti il compito di ricercare una proposta culturalmente avanzante. Noi non ci occupiamo di economia e di dare una risposta nuova all’attuale modo di produzione: non siamo attrezzati per farlo. E comunque siamo altro. Noi ci occupiamo di cultura, dell’anima delle persone e delle relazioni fra loro. Abbiamo compreso l’urgenza di porsi il problema antropologico, che è sempre stato il criterio delle cosiddette rivoluzioni culturali…
La nostra è “una ricerca antropologica autocosciente”, diceva Pierino. Una ricerca con tante domande e qualche certezza.
Certamente una cosa era fare “intervento culturale” al servizio del movimento 40 anni fa. La “pasta umana” con cui avevamo a che fare era una cosa. Altra cosa è fare “intervento culturale” in un quartiere multietnico, iperdegradato, nel quale per il giorno dopo più nulla è certo, neanche un misero lavoro di merda. Ci sono domande nuove che questa forma antropologica ci pone. E le risposte non sono dentro di noi, nella nostra testa, nella nostra esperienza, e neanche sui libri di sociologia o…
Le risposte sono nella relazione seria vitale e appassionata con i più poveri. Loro è la chiave di volta.
E allora, che tipo di “condizione” deve essere un “animatore” di fronte a questa mutata situazione globale e antropologica?
Che spazi offrire? Quale calore e con che ipotesi? Quali cammini?
Torna alla mente la prospettiva che immaginava Aldo:

Noi non sappiamo se la vicenda umana attuale si svolgerà arrivando alla distruzione delle possibilità di riproduzione della vita o se sfocerà in un sistema ancor più oppressivo o invece si dipaneranno sentieri che riusciranno a confluire in un cammino di liberazione.
Possiamo però constatare che le questioni epocali:
1. il dominio dell’uomo sull’uomo
2. dell’uomo sulla donna
3. della tribù occidentale sulle altre tribù della Terra
4. dell’uomo sulla natura
sono ora ad un passaggio decisivo, sono ora arrivate alla coscienza dell’umanità, anche se ancora ad una minoranza di essa, anche se ancora tra loro non collegate.
È importante tener presente che due/tre secoli fa queste consapevolezze esistevano solo nella testa di qualche spirito illuminato, ma non come consapevolezza diffusa, anche se minoritaria. C’è quindi una direzione realisticamente possibile dell’evoluzione. Ciò che deciderà sarà la capacità di ampliare il numero di persone coscienti e di riuscire a far intrecciare in loro le consapevolezze.

4. IL BIVIO A CUI SIAMO ARRIVATI

Ognuno di noi è quindi di fronte ad un bivio: può scegliere
• o di inserirsi attivamente in questa possibilità dell’evoluzione
• oppure di lasciar perdere e di sopravvivere nella sua nicchia finché questo gli sarà possibile.
Questa ci pare essere una prospettiva che non mente sulla realtà dell’orrore e insieme non chiude nel pessimismo radicale le volontà di lotta di chi ancora non si è arreso.

Settembre 2009


 

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