2 giugno 2011
CONVEGNO A BERGAMO
Seconda relazione

 

VATICANO II: ALBA O TRAMONTO? UNA SINTESI

di Mons. Luigi Bettazzi

Ho molte perplessità: la prima mi viene dal fatto che io vivo di parole invece voi avete vissuto dei fatti. La seconda è che del concilio si è detto già tutto questa mattina. La terza è che non ho ancora risolto il problema del titolo. Prima l’alba o prima l’aurora? Sono arrivato a dire che forse prima c’è l’aurora con dei bagliori e poi viene l’alba.
La prima cosa è il valore del concilio, che suggerisce anche che cos’è la chiesa. Avrei molte cose da dire su papa Giovanni; ne dirò solo alcune. Giulio Andreotti ha per moglie la nipote di un certo mons. Belvederi che è stato segretario del cardinale di Bologna, accusato poi di modernismo, e a Roma ha fondato le suore delle catacombe di Priscilla. Andreotti ha scritto un libro, dove narra che agli inizi del ‘900, due alunni del Collegio Capranica e due alunni del Seminario Lateranense, si volevano incontrare per parlare del modernismo: uno era Bonaiuti, l’altro Manaresi, di Bologna ( il libro migliore di storia nei licei ai miei tempi era di Manaresi ), l’altro il Belvederi, che era lo zio della moglie di Giulio, e il quarto era Angelo Giuseppe Roncalli. Il libro è intitolato: “I quattro del Gesù”.
Roncalli fu mandato in giro per il mondo e in Bulgaria ha conosciuto gli ortodossi, a Istanbul e ha visto che c’erano dei musulmani bravi. Poi lo hanno mandato a Parigi, e là ha conosciuto la Francia laica. Quando io l’ho visto nel ’51, dove ero andato per imparare un po’ di francese, mi parlò dei suoi hobby: il primo erano i libri antichi (mi mostrò: questo è la prima edizione della Filotea di Francesco di Sales, questo è Voltaire, questo è Rousseau); l’altro hobby erano le visite di san Carlo Borromeo alla diocesi di Bergamo”, dove portava il concilio di Trento. Lui si rendeva conto dell’importanza di un concilio. Subito lo disse a Loris Capovilla appena lo avevano fatto papa, già anziano, al posto di Montini che Pio XII aveva mandato a Milano senza averlo fatto cardinale. (“Facciamo papa uno anziano che faccia cardinale il Montini e così quando muore , il Montini diventa papa”; questo era l’accordo, un “papa di transizione”). Non aveva detto nulla a nessuno del concilio perché sapeva che anche Pio XII avrebbe voluto un concilio e ne aveva parlato, ma lo avevano dissuaso. Lo disse solo due giorni prima dell’annuncio al card. Tardini ma sotto segreto confessionale, così quello non poteva dirlo a nessuno. E poi l’annuncio.
Una volta annunciato il concilio istituirono 10 commissioni, tutte presiedute da cardinali romani. E papa Giovanni era contento dei 72 documenti che avevano preparato, ma non si rendeva conto, come direbbe il Gattopardo, che avevano cambiato quanto bastava perché tutto rimanesse come prima. Tant’è vero che quando i vescovi si sono ritrovati al concilio dissero che quei documenti non servivano. Poi il papa diede alcuni gesti forti all’inizio per cui capirono che il concilio era in mano loro.
Questo per dire dell’importanza di un concilio. Alla fine la stragrande maggioranza concordò su affermazioni che all’inizio non avrebbe mai fatto. Qualcuno – ad esempio -aveva portato avanti il discorso dell’ecumenismo, della Bibbia, della Liturgia. Venivano presentate molte idee ed abbiamo maturato tutti insieme. Ecco allora l’importanza di un concilio e direi anche il vero volto della chiesa.
Papa Giovanni inoltre disse che non doveva essere un concilio dogmatico, ma pastorale. E per questo è stato un po’ svalutato (I lefevriani – ad esempio – affermano che il concilio Vat.II è un concilio pastorale e quindi essi non sono tenuti a seguirlo). Concilio dogmatico significa un concilio che definisce dogmi, e chi non ci sta “fuori dalla chiesa” (anatema sit). “Pastorale” invece significa partire non dalle idee già prefissate, ma dalla gente. Questo non vuol dire rinunciare ai valori, ma significa affermare i valori in maniera adatta alla mentalità della gente di oggi
Mi capitò anche di fare un intervento con la proposta di canonizzazione conciliare di Giovanni XXXIII.. Non potei leggerlo perché per leggerlo ci volevano almeno 70 firme. Si stentava a trovare le firme; ne avevo raccolte solo 50 e il Card. Suenens non le accettò, e quando ne trovai altre venti disse che ormai era troppo tardi. Sapevano che Paolo VI non voleva la beatificazione di papa Giovanni, non perché fosse contro, ma siccome c’erano quelli che spingevano per Pio XII, non poteva mettere avanti Giovanni senza mettere anche Pio XII. Tant’è che poi, non potendo ammettere Pio XII, per riuscire a mandare avanti Giovanni hanno dovuto accompagnarlo a Pio IX. Ivi c’era anche un mio intervento sui preti operai, che allora sembrava una rivoluzione. “La chiesa deve essere sempre presente nel mondo nuovo attraverso le sue membra, anche attraverso i suoi sacerdoti, sia nella funzione di assistenti sia anche in quella stessa di operai secondo le diverse esigenze dei luoghi, sotto la guida dei vescovi, perché senza sacerdozio non si dà esperienza di chiesa. Così la chiesa veramente si incarna nel mondo, come Cristo unico e sommo sacerdote non disdegnò di essere povero e lavoratore con i poveri”.
Il “pastorale” ha il grande vantaggio di seguire la mentalità della gente, ma ne ha anche un limite. Vi ricordate la famosa lettera pastorale “Camminare insieme” del Card. Pellegrino? Il cammino pastorale presenta aperture di novità, ma presenta anche i limiti dello stare insieme. Per questo quando parlo del concilio dico sempre: “Già e non ancora”. Se guardiamo com’era prima, ci accorgiamo che sono stati fatti dei passi in avanti, ma se guardiamo a quello che avrebbe potuto essere, dobbiamo dire “non ancora” . Il concilio é stato come una rivoluzione copernicana. La formula è di Alberigo, l’officina bolognese come la chiamano. Tolomeo diceva che la terra sta ferma e il sole le gira attorno, mentre (Copernico che era polacco ma che ha studiato in Italia) diceva che era il sole a stare fermo. Quello che sembrava fondamentale diventa subordinato e quello che era subordinato, divenne centrale. Quando arrivai al concilio – si era alla seconda sessione – trovai i vescovi che stavano riflettendo: “Ma come, un papa fa un’enciclica così importante senza dir niente al concilio aperto!” Aveva fatto la “Pacem in terris”, un’enciclica importante non solo per la pace ma anche perché per la prima volta un papa, invece di scrivere di cose religiose per i soli cattolici, scriveva su di un valore umano e per tutti gli uomini di buona volontà. In un certo senso è un’enciclica “laica”. E’ vero che cita il vangelo e verità strettamente religiose, ma rivolgendosi a tutti gli uomini di buona volontà, fa affermazioni condivisibili anche da quanti non sono cristiani, in forza della ragione.
I vescovi furono così sollecitati a fare un documento importante su argomenti già proposti (ad es. sulla morale, su san Tommaso, ecc.) (C’erano 16 documenti e lo chiamarono “Schema 17. Quando nell’estate li ridussero a 12, fino alla fine fu chiamato “Schema 13”). Ne è uscito questa Costituzione: la “Gaudium et spes”, che è come una rivoluzione copernicana proprio perché si rivolge a tutti gli uomini di buona volontà: non gli uomini per la chiesa, ma la chiesa per tutta l’umanità. Nella prima parte del documento si parla del valore della persona umana, di ogni persona, non dei cristiani, ma di ogni famiglia, di ogni cultura, di ogni economia. Tant’è vero che quando si fece la grossa discussione, la minoranza diceva: “ Ma dove va a finire Gesù Cristo?” Allora non abbiamo cambiato, ma abbiamo aggiunto ad ogni capitolo il motivo di fede, quasi come una forza in più per questi valori che rimangono valori laici: laico non come anticristiano, ma come umano, razionale.
In questo senso la “Gaudium et spes” è laica, dal momento che i motivi di fede spingono un cristiano ad essere ancora più correttamente laico. Ad esempio sui valori della persona umana: tanto più per te che sei cristiano, perché Dio si è fatto uomo, dove tu non ti metti da una parte e gli altri dall’altra, anzi devi essere ancora più umano se sai che Dio si è fatto uomo. Così per la famiglia, ogni famiglia, ma tanto più per te cristiano che sai come Dio ha indicato la famiglia. Così per l’economia: questa vale per tutti (la crisi in cui siamo è perché qualcuno non ha osservato le regole laiche dell’economia); ma tu cristiano se sai cosa ha detto Gesù e come è vissuto devi essere ancora più impegnato nell’economia. Si tratta di rompere questa chiusura che ci fa dire:”noi da una parte e loro dall’altra”. Questo sì allora è una rivoluzione copernicana per la laicità. Così, quando si trattò della questione del divorzio, rivendicammo i principi non negoziabili per un cristiano, ma poi noi siamo i primi ad adoperarlo. Se un divorziato non era prima sposato in chiesa, lo potevamo sposare, accettando così sul lato umano che uno fosse divorziato da un matrimonio civile.
Guardiamo ad esempio il problema della pace: c’erano due cardinali che avevano proposto la condanna della guerra: un cristiano non può fare la guerra. Questo era il motivo per cui anche Dossetti non era contento della “Gaudium et spes”, perché voleva che si partisse dalla parola di Dio, non dai principi di san Tommaso. Il card. Spelmann, arcivescovo di New York, quale Ordinario militare – aveva fatto il natale con i suoi soldati in Viet-Nam – diceva: “Non pugnalate alle spalle i nostri giovani che nell’estremo Oriente stanno difendendo la civiltà cristiana”. Siamo arrivati all’unica condanna del Concilio che è quella della guerra totale (la si chiamava ABC, atomica, biologica e chimica). Il nostro don Chiavacci diceva che dopo il Concilio un cristiano non può andare a fare il soldato se non fa l’obiezione di coscienza alla guerra totale, atomica: non posso fare la guerra atomica, perché immorale.
Direi allora che la chiesa deve farsi promotrice della pace. Oltretutto quando nostro Signore è venuto al mondo ha mandato gli angeli ad annunciare la pace ai pastori: “Gloria a Dio nei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”. E agli altri? Guerra! Perché quelli di buona volontà siamo noi e gli amici?! Invece è: “Pace in terra agli uomini che sono oggetto della buona volontà di Dio”, agli uomini che Dio ama. Ed anche la gloria di Dio è l’uomo vivente, diceva S. Ireneo.
Non potemmo dire tutto sulla guerra, ma Paolo VI scrisse qualcosa nel ’67. Egli infatti si era riservato alcuni temi, come la pillola, il celibato dei preti, ed anche la “chiesa dei poveri” (perché aveva paura che finisse nella lotta di classe). Ne è uscita poi la “Populorum progressio”, dove “progressio” vuol dire sviluppo, ma “populorum” vuol dire due cose: dei pioppi o dei popoli. Tutti capivano che non interessava lo sviluppo dei pioppi. Infatti fin dall’inizio afferma che il nome nuovo della pace è lo sviluppo dei popoli, mentre alcuni popoli si sviluppano a spese degli altri. (Il buon Indro Montanelli diceva che era una lettera comunista, rivoluzionaria!). Dopo vent’anni è uscita la “Sollicitudo rei socialis” di Giovanni Paolo II che dice che lo sviluppo è la solidarietà: un cristiano non è tale se non ha la carità, il nome attuale della carità è la solidarietà. Non si può essere cristiani se non si parte dalla solidarietà.
Benedetto XVI fa la “Charitas in veritate”, dove dice che bisogna smettere la violenza e la nonviolenza che noi lasciavamo a Gandhi adesso cominciano, con molta esitazione, a parlarne anche noi. A Kingston, l’incontro ecumenico sarà proprio sul rifiuto della violenza. Questo per dire che il concilio ha posto dei segni e ha dato degli spunti che poi vanno portati avanti.
Su questo piano si rompe anche l’idea che avevamo, che se non si è battezzati non si va in paradiso. Ed avevamo inventato il limbo per non mandare all’inferno i bambini. I vescovi al concilio avevano detto di no al limbo, si erano accorti che la gente non ci crede (l’infallibilità è l’infallibilità della chiesa, e la gerarchia poi se ne fa interprete). I teologi poi hanno detto che si era pensato al limbo per far capire l’importanza del battesimo, ma nella Bibbia non c’è e questo lo ha confermato Benedetto XVI nel 2007. Il che vuol dire che si può andare in paradiso anche senza il battesimo. I teologi allora dovranno forse chiedersi se non abbiamo dato troppa importanza ad Adamo, mentre il primogenito di ogni creatura è Gesù Cristo, lo dice san Paolo ai Colossesi, dove parla del primato di coloro che poi risuscitano da morte, il primato sugli esseri umani. Quando Dio ha creato il mondo lo ha fatto pensando a Gesù Cristo, dal quale sono nate tutte le cose: il mondo è un mondo soprannaturale. Quindi l’importanza del credere , dell’aprirsi. Adamo è stato quello che si è chiuso, è il simbolo di coloro che dicono: “faccio di testa mia”, e gli altri? “se mi servono bene, altrimenti peggio per loro”. Invece Dio è amore e allora è apertura. Voi sapete come Tonino Bello, spiegava perfino il mistero della Trinità : “Se fossero uno più uno più uno sarebbero tre, ma invece sono uno per uno per uno e fa uno. E Dio ci vuole, non ognuno per sé, ma l’uno per l’altro”.
La grande storia del mondo è la chiusura, che deve invece aprirsi. San Giovanni (3,15) dice: “Chi crede in lui avrà la vita eterna”; nel greco non c’è la virgola, ma essa andrebbe messa così: “chi crede, in lui avrà la vita eterna”. E’ Cristo che salva tutti, l’importante è credere. Quando guardo i musulmani che pregano dico che quelli saranno salvi, perché credono, anche se non conoscono Cristo. E’ questa la base per guardare il mondo con simpatia. Il mondo è frutto dello Spirito Santo e Cristo è morto per rompere la chiusura, è risorto per aprire e donare lo Spirito Santo.
E allora la chiesa è inutile? No. Il Signore vuole che ci sia qualcuno che aiuti la gente a capire che cos’è credere. Ecco allora l’altra rivoluzione copernicana, non una chiesa chiusa e in difesa di se stessa. Troppo spesso infatti la chiesa veniva vista come una stazione di servizio: “Mi fa un battesimo? Mi fa una cresima?, mi fa una prima comunione? Mi fa un matrimonio? Si è sempre considerato che la chiesa fossero i preti che danno la grazia.
Questa rivoluzione copernicana è risultata nella stesura del documento sulla Chiesa. Essa era sempre stata vista come una società visibile, contro i protestanti che credevano in una società spirituale, ed una società perfetta contro chi diceva: chiesa libera in libero stato. Siccome è società essa è garantita dai tre poteri: legislativo giudiziario ed esecutivo. Questi sono nella gerarchia e quindi nel papa. Nel Concilio è cambiato: la chiesa è il popolo di Dio. Hanno votato tutti così, eccetto 12 su 2500, e hanno voluto che la chiesa fosse popolo di Dio e gerarchia. Allora è il popolo di Dio che porta Cristo nel mondo, ogni cristiano è profeta, sacerdote e pastore.
La gerarchia ci vuole per garantire: se tu sei profeta, non perché sei più intelligente ed essa ti garantisce la parola di Dio. Se ogni cristiano è sacerdote, ci vuole qualcuno che lo metta in contatto con Gesù Cristo. Se sei pastore, portatore di unità, ci deve essere qualcuno che ti faccia fare esperienza nella chiesa, dove non sono i fedeli subordinati al sacerdote, al clero, ma il clero al servizio (ministero) del popolo di Dio e la valutazione del clero non si basa sulla raffinatezza degli insegnamenti, o sulla grandiosità delle liturgie, ma sull’efficacia all’aiuto alla fede e allo sviluppo del sacerdozio dei fedeli. La pastoralità non è quella che ci indicava il canto (“Al tuo cenno, alla tua voce, un esercito all’altar”), ma è per farci sperimentare la convivialità delle differenze in maniera che tu possa portarla fuori, nella vita: vivere la pace all’interno della chiesa, per portarla fuori. Una volta si insegnavano i dogmi, la fede si impegnava sui dogmi, i dogmi sono questi, la “fides quae”, per cercare di garantirsi.
E allora il popolo di Dio? Il Consiglio permanente della CEI nell’81 disse che la cosa importante è partire dagli ultimi. Ma importante sarebbe chiedersi quali sono gli ultimi. Allora viene fuori il problema delle povertà, anche il problema della donna: è’ una chiesa madre fatta tutta di uomini. I movimenti in genere partono dai laici, solo però che spesso si organizzano in modo tale che si chiudono come il clero. Se parte dal clero è religione, se parte dal popolo di Dio è fede. La fede, “fides quae”, ha valore solo se ha la fede “con cui” (o “fides qua”) Un grande esempio della “fides quae” senza la fede “con cui” erano i farisei, che erano la gente più di chiesa in quel tempo, ma si chiudevano su di loro e sfruttavano la loro posizione per dominare sugli altri.
Rapidamente ho parlato di due Costituzioni del Concilio; le altre due Costituzioni sono tipiche di questo educare alla fede. Anche prima si citava la parola di Dio,essa serviva solo a confermare con frasi quello che si aveva studiato, cioè si vanno a prendere dalla Parola le frasi che ci servono. E’ vero che si legge di più la Parola di Dio ma non è ancora diventata la guida del nostro comportarsi, soprattutto di noi come istituzione, mentre la Parola di Dio non è soltanto trovare le frasi che ci servono, ma è per ognuno di noi “dir di sì a Dio che ci sta pensando e che ci sta chiamando”. Quando ha creato il mondo ha voluto che ci fosse ognuno di noi, ci ha pensato da sempre e vuole che ognuno di noi arrivi all’amore. La lingua con cui Dio parla agli uomini è la Parola di Dio. Se vogliamo sapere quello che Dio dice ad ognuno di noi, dobbiamo familiarizzare con il linguaggio di Dio agli uomini, con la Parola di Dio, pur con tutte le difficoltà che ci sono.
La quarta Costituzione è quella della liturgia. Una volta la liturgia era creare la presenza reale per pregare davanti alla presenza reale. Tant’è vero che, mentre il prete pregava in latino, noi dicevamo il rosario. Nei seminari si faceva la meditazione: il primo punto all’inizio,secondo punto alla consacrazione e terzo punto dopo la comunione. Questo vuol dire che la liturgia non era considerata una preghiera, mentre la liturgia è unirsi a Cristo che sta pregando. L’eternità non ha un “prima e dopo”, ma è al di fuori del tempo. Gesù nell’eternità sta dicendo” Padre, nelle tue mani consegno la mia vita”, “Padre, perdona loro”: è la pienezza dell’amore di Dio e la pienezza dell’amore verso gli altri. Noi non andiamo per assistere ma per unirci a lui che prega, perché la sua preghiera diventi la nostra preghiera.
E allora il Concilio è alba o tramonto? Se pensiamo all’entusiasmo che c’è stato quando c’era il concilio, la gente – più fuori la chiesa che dentro – sembrava dicesse: se cambia la chiesa cattolica, possiamo cambiare tutti. V’era un’esigenza di rinnovamento. (Si sentiva però qualcuno che diceva: “aspettate che finisca il concilio e poi noi ci riprendiamo in mano tutto”). Ed è venuto il ’68 e il ’69 dove c’erano i giovani al sabato sera che dicevano la messa e invece di leggere la lettera ai Tessalonicesi magari leggevano Che Guevara, e questo ha portato a dire: “vedete dove vanno?” Per questo si è abolito tutto e insieme all’acqua sporca si è buttato via anche il bambino.
Adesso? C’è stata la tesi, poi l’antitesi – l’interpretazione giuridica, minimalista – e adesso ci dovrebbe essere la sintesi. Qualcuno propone un altro Concilio. Io credo di no, perché quello è arrivato all’improvviso e papa Giovanni ha fatto vedere che era in mano ai vescovi. Oggi se lo organizzano come si fa con i Sinodi, che sono impostati e gestiti dal centro, e dopo un anno il papa dà i risultati, non credo servirebbe molto: se venisse organizzato così potrebbe finire col mangiarsi anche il Vaticano II ! Lo stesso card. Martini non ha detto: un altro Concilio che metta in discussione tutto, ma un concilio per alcuni temi particolari, ad es. sulla sessualità, sulla bioetica, sulla pastorale dei divorziati. Si discuta e si voti su qualche punto particolare.
Credo che i semi siano stati posti, non c’è né l’alba e neanche il tramonto, è l’aurora. Si intravede qualcosa e bisogna che arrivi il tempo in cui si possono delineare compiutamente le cose e questo credo che in qualche modo sta ad ognuno di noi. Ognuno di noi deve fare quello che può nel suo piccolo portandolo avanti con fatica e difficoltà.


 

INTERVENTI DOPO LA RELAZIONE BETTAZZI

Mario Signorelli
L’intervento del vescovo mi ha sollecitato e mi ha fatto riandare con la memoria indietro di vent’anni. In quel periodo stavo andando con la mia cassetta dei ferri per dei lavori in un istituto di suore, che stava sulla collina di Ponte Galeria. Mentre salivo, accompagnato da una suora, vedo un vecchio che camminava lentamente, avvolto nei suoi pensieri. Chiedo alla suora:”ma chi è quel signore anziano che sta scendendo verso di noi?” Lei mi risponde che era il card. Pavan, ritiratosi presso di loro. Con la mia memoria vado indietro di alcuni decenni; Pavan era colui che ha steso la “Pacem in terris” per papa Giovanni. Mi avvicino e lo saluto. E lui: “Ma chi siete voi?”. Pensate, mi dava del “voi”. Mi presento come prete operaio che abitava poco lontano da quel luogo e che ero lì per fare dei lavori. Mi guarda in faccia e con una solennità quasi liturgica scandisce queste parole: “Resistete, resistete, perché questo lungo inverno della chiesa dovrà pur finire!”.
Quest’uomo è stato isolato e non si sentiva più parlare di lui in quegli anni, dimenticato da tutti. Ma sapete cosa faceva quell’uomo lassù in quegli anni?
Ogni giorno piantava piccoli alberi.
Dopo una decina d’anni sono ripassato da quel posto e ho visto che su quella collina era nata una piccola foresta. Un vecchio che pianta gli alberi: è la simbologia del nostro essere. Piantare piccoli alberi per il domani.

Armido Rizzi
In questa relazione abbiamo avuto due esempi di cristianesimo ellenizzato. Un esempio un po’ incasinato nella esposizione, ma molto bello e vero nella sostanza.

Roberto Fiorini
La polarizzazione tra il pastorale e il dogmatico mi lascia un po’ perplesso, nel senso che all’interno dei documenti e l’evento stesso del Concilio rappresentano invece un modo di trasmettere la fede. Il modo di trasmissione della fede ha una rilevanza rispetto ai contenuti della fede. L’impressione mia è questa: che se noi accettiamo la polarizzazione estremizzata che viene utilizzata per dire : dato che c’è una interpretazione giuridica (e una delle massime giuridiche dice “odiosa restringenda”) allora essa restringerà al massimo le affermazioni di carattere innovativo. Dall’altro se sottolineiamo che il Concilio è “soltanto” pastorale, si tenderà svalutarlo sotto l’aspetto dottrinale.
Personalmente credo che nel Vaticano II si è verificato un evento linguistico. L’evento linguistico non è solo l’espressione esteriore della lingua e della parola, ma indica un qualcosa che emerge, un nuovo modo di porsi, sia all’interno della chiesa che rispetto al mondo.
Quando nella “Dei verbum” si dice che anche il magistero è sotto la parola di Dio e che essa deve essere trasmessa secondo il kerigma , pone un preciso problema: non tutto può essere fatto passare per parola di Dio. Il rischio è che siamo noi stessi a indurre un relativismo quando facciamo passare per parola di Dio, e quindi come realtà eterna, quello che non lo è secondo il kerigma. Questi sono dei nuclei che non sono solo pastorali, ma che hanno a che fare con il modo di credere.

Gianni Avena
Io sono operaio dell’informazione. Vorrei interloquire solo un attimo con uno dei protagonisti su un tema che dal Concilio venne fuori. Si sviluppò come alba, aurora, crebbe e poi tramontò forse insieme al concilio. E’ stato il risultato di un altro tramonto: il tramonto dell’informazione. Sotto la chiesa di Pio XII non circolava nessuna informazione, c’era solo quella istituzionale.
Col concilio si sviluppò una circolazione di idee, di discussioni che arricchirono molto non solo il concilio nelle sue sedute, ma anche la comunità cristiana che dialogava con quelli con cui non aveva mai dialogato attraverso l’informazione. Per esempio i vaticanisti che hanno incominciato a studiare teologia li ho conosciuti tutti. Studiavano teologia perché volevano essere all’altezza. Fino ad allora nei grandi giornali non c’era ancora nessun vaticanista, informatore religioso.
Ogni grande giornale si è dotato di un informatore religioso preparato, che dava voce a tutte le realtà della chiesa e del mondo cattolico. Poi iniziò la fase del tramonto. Tramonto del concilio, tramonto dell’informazione. Credo proprio che oggi ci sia questa emergenza nella chiesa, l’emergenza dell’informazione.
Vi parlo di questo perché è il mio mestiere. Chiedo a mons. Bettazzi se c’è veramente questa emergenza oggi e se essa si può superare perché rinasca quella che lo stesso Pio XII invocò come necessità, quella dell’opinione pubblica nella chiesa. Poi è andata finendo, ora non circola più nulla perché tra le prime normalizzazioni del concilio c’è stata la normalizzazione dell’informazione, oggi tutta nelle mani di poche persone istituzionali.

Vittorio Bellavite
Sono rappresentante di “Noi siamo chiesa” e noi siamo sempre censurati dalla stampa cattolica. Per fortuna che abbiamo sempre l’appoggio di ADISTA. Partecipo agli incontri internazionali. Da dieci anni ci chiediamo: è opportuno un altro concilio ecumenico? Mi riferisco a quanto prima ha detto don Luigi. Ci sono opinioni diverse perché alcuni dicono che non conviene perché i vescovi sono cambiati tutti. Altri dicono invece che nella chiesa c’è comunque uno spirito di vescovi che vengono da tutto il mondo che non possono che portare lo spirito e quindi basta partire e poi le cose possono cambiare e passare così dal vaticano II e attraverso il vaticano III passare finalmente alla riforma della chiesa. Ci sono opinioni diverse, non c’è una soluzione unica. Dobbiamo parlarne. Noi stiamo cercando di creare una rete, lo dico anche in modo ambizioso, a livello mondiale, per riuscire ad arrivare nel dicembre 2015 a Roma in occasione del 50° anniversario della conclusione del concilio. Lì il problema si porrà. Settimana prossima negli Stati Uniti, a Detroit, un grande concilio di base, completamente slegato dalle gerarchie ecclesiastiche, a cui parteciperà una delegazione europea di 9 persone , me compreso, dove si cercherà di stabilire questa rete. Questi grandi interrogativi non sono solo nel circuito della contestazione interna come siamo noi, ma sono problemi di tutti. Chiedo che se ne parli, che si apra una discussione, non solo qui oggi ma anche in altre sedi.

Giovanni Bruno
Sono d’accordo con Bettazzi che il concilio ha messo dei semi che si svilupperanno. Collegare il vaticano II al primo concilio di Gerusalemme, raccontato dagli Atti, per andare verso una visione copernicana di tutta la faccenda, probabilmente non basteranno gli Atti degli Apostoli, ma bisognerà tornare un poco indietro. Io vedo un arretramento, un cercare da parte della prima comunità cristiana di rapportarsi alla società nella maniera che si usa fare. Gesù Cristo dice: “non andate appresso a quelli che dicono che il Cristo è qui o è là”, oppure che “il regno di dio è qui o là2. Qualcosa del genere c’è nella “Gaudium et spes”, con tutta l’ammirazione che io ho per questo documento, nella “Lumen Gentium”, scusate, quando dice: la chiesa, immediatamente il popolo di Dio, poi la gerarchia. Evidentemente c’è sempre un elemento concreto, preciso, visibile che in certi momenti manovrerà di meno e in altri manovrerà di più. L’esperienza dei preti operai, anche se collaboriamo nelle parrocchie, vorrebbe tendere verso un superamento di tutta questa mentalità che porta sempre o ad organizzare o a dirigere. L’elemento della visibilità che poi inevitabilmente porta a sopraffare sugli altri.


 

BETTAZZI RISPONDE

Ci sono stati dei contributi interessanti, soprattutto quello di non contrapporre il pastorale al dogmatico. Pastorale è solo il modo, il modo coincide con la de-ellenizzazione. La gente del nostro tempo ci aiuta a vedere che cos’è la verità e che cosa invece è stato un rivestimento culturale portato dai tempi. La pastorale ci fa ritrovare il senso pieno e bisogna solo stare attenti che non diventi un relativismo assoluto. Per l’informazione è vero quanto è stato detto. Per quanto riguarda il concilio devo dire che è stato conosciuto anche attraverso l’Avvenire d’Italia che allora veniva stampato a Bologna con Dossetti e La Valle che poi hanno mandato via e hanno portato tutto poi a Roma.
Credo che adesso conta molto internet, che ha delle limitazioni perché dissuade soprattutto i giovani dal pensare perché è già tutto pensato, basta solo trovare solo il bottone giusto. Però aiuta a vedere il mondo, e credo che da lì sia nata la rivoluzione africana e forse anche nella chiesa. E’ vero che la chiesa e la CEI sta mettendo i propri canali , ma da internet avvengono gli scambi, gli incontri.
Forse ha ragione il nostro amico che ha più fiducia nello Spirito Santo che, nonostante le nostre chiusure, può riuscire a rompere tutto, come ha rotto durante il concilio.


 

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